Foto via YouTube

Il caso “Finis Germania”, libro-culto di un paese che “vuole scomparire”

Giulio Meotti

Il pamphlet di un intellettuale suicida sventra i tabù sul senso di colpa tedesco

Un libro esile, 104 pagine, un titolo in latino, una copertina verde minimalista, un editore conservatore alternativo e dentro una serie di lunghi aforismi e brani trovati nel computer dell’autore. È “Finis Germania”, il libro con cui Rolf Peter Sieferle sta scioccando il mondo culturale tedesco. Tutti lo comprano, tutti lo stroncano, da due mesi è primo in classifica su Amazon, ben davanti ai libri di cucina, di fitness e ai romanzi rosa. L’autore, forse il più rinomato storico tedesco della società industriale, a settembre si è impiccato nella soffitta della sua villa a Heidelberg, dopo aver scoperto il cancro. Ma Sieferle aveva fatto in tempo a lanciare questa bomba a mano contro l’establishment giornalistico e culturale.

  

Il ceto intellettuale ha steso il cordone sanitario. La radio pubblica Ndr, che assieme alla Süddeutsche Zeitung raccomanda dal 1990 i libri del mese, si era permessa di inserire in lista il libro di Sieferle. Il presidente della giuria che seleziona i libri, Andreas Wang, ha ottenuto la testa del redattore dello Spiegel, Johannes Saltzwedel, reo di aver selezionato “Finis Germania”. Poi è stato lo Spiegel a rimuovere il titolo di Sieferle dalla cinquina dei suoi bestseller, la lista usata dalle librerie per promuovere i titoli. Susanne Beyer, vicedirettrice dello Spiegel, ha detto che “Finis Germania”, che ricorda lo stile del filosofo colombiano Nicolás Gómez Dávila, è stato omesso perché la rivista considera il libro “di destra e revisionista”.

  

Dalla Antaios, la casa editrice conservatrice che ha pubblicato il libro, al Foglio spiegano che “’Finis Germania’ è scomparso per ragioni ideologiche da molte librerie, si rifiutano di venderlo, così i clienti devono chiamarci e ordinare da noi il libro”. Gli amici umanisti, che incontravano Sieferle al Café Knösel di Heidelberg, non si capacitano. Nato a Stoccarda e cresciuto a Heidelberg, sposato con la figlia di un rabbino, Sieferle si laurea con una tesi sul concetto di rivoluzione nella teoria di Karl Marx. Poi arriva la cattedra dell’Università di Mannheim. La sua introduzione all’autore del “Capitale” del 2007 è considerata da manuale. Nel suo necrologio, la Frankfurter Allgemeine Zeitung definisce i suoi libri “capolavori della storia universale socio-ecologica”.

 

E ancora: “Sieferle è stato uno dei grandi intellettuali del XX secolo”. La stessa Süddeutsche Zeitung, il giornale della sinistra tedesca, ha definito la sua erudizione “pionieristica”. Una vita spesa a sinistra quella di Sieferle, l’associazione degli studenti socialisti, consulente del governo Merkel sul cambiamento climatico, autore della relazione sulla “politica energetica del futuro” per il Bundestag. E poi il blasone dei grandi editori: Suhrkamp, Propyläen, Fischer, Beck, prima di diventare un outsider, prima di bruciarsi le dita. “E’ l’ultimo libro che non avrebbe mai dovuto scrivere”, dicono gli amici alla Faz. Sieferle si era suicidato culturalmente, prima che fisicamente. Die Zeit ha definito “Finis Germania” di una “oscenità pazzesca”. La Berliner Zeitung ha scritto del “declino intellettuale” di Sieferle. La Süddeutsche Zeitung ha ritirato la lode. Rüdiger Safranski, forse il massimo storico della filosofia in Germania, lo ha invece difeso e ha paragonato Sieferle a Heinrich Heine, Edward Young e alle loro “lettere notturne”, “brillanti, malinconiche, pessimiste”. Il direttore di Tumult, Frank Böckelmann, ha chiamato Sieferle “uno dei più grandi pensatori del nostro tempo”, accostandone il nome a quelli di José Ortega y Gasset e Arnold J. Toynbee. Mentre la rabbia della critica aumentava, altrettanto facevano le vendite, tanto che l’editore non riesce a stare dietro alle richieste e il libro è continuamente esaurito. “Qualunque cosa si possa pensare di Sieferle”, ha scritto il  New York Times, “lo scandalo intorno a lui rivela questioni insospettabili”. 

   

Ma cosa ha detto di scandaloso Sieferle in “Finis Germania”? Nella terza parte del libro descrive il “mito di Auschwitz”, la cui “dimensione metafisica” ne fa un nuovo “peccato originale” con il suo “invito al pentimento permanente”. Il tedesco non è più l’uomo la cui colpevolezza può essere compensata dall’amore di Dio, ma il diavolo, l’angelo caduto imperdonabile. Ma come nota il New York Times, che a questo “anti-eroe intellettuale” dedica un lungo ritratto, Sieferle non nega o minimizza mai la Shoah, la chiama “verbrechen”, crimine. Piuttosto sventra il senso di colpa collettivo e le sue ricadute sull’attualità. È questo il tabù.

  
Sulla Welt, Henryk Broder, giornalista ebreo irriverente e anticonformista, ha difeso Sieferle, ricordando che Jakob Augstein, il rampollo della famiglia proprietaria dello Spiegel che ha censurato “Finis Germania”, è a sua volta accusato di antisemitismo. Lo stesso Broder fu criticato non poco quando scrisse il libro “Vergesst Auschwitz!”. Dimenticate Auschwitz. “L’affaire Sieferle non è sul libro, ma sulla reazione”, dice Broder al Foglio. “È il segno di una confusione nazionale e di un panico intellettuale. Mai contro Günter Grass, che era antisemita, fu usata l’accusa. Come mai? In Sieferle hanno trovato un capro espiatorio da mandare nel deserto. Per giunta è morto. Le élite sanno che hanno un problema e cercano di nasconderlo con la censura e il silenzio”.

  
Il caso ricorda quello di due anni fa, quando Botho Strauss, il più audace innovatore del teatro tedesco, pubblicò un saggio dal titolo “Der letzte Deutsche”, l’ultimo tedesco, dove si legge: “Talvolta ho l’impressione di stare tra tedeschi soltanto in mezzo agli antenati”. Lo scrittore attaccò “il sempre più imperante conformismo politico-morale” e “i partiti, che oggi si riconoscono esclusivamente nella causa dei diritti civili per le coppie omosessuali”, invece di preoccuparsi “dell’invasione del paese da parte di stranieri che preservano il proprio senso di estraneità”.

   

Sieferle in “Finis Germania” parla di “una società che non è più in grado di distinguersi dalle forze che la disgregano e che sta vivendo moralmente oltre i propri mezzi. Non è sostenibile. Attraverso la relativizzazione, sta distruggendo la propria identità culturale. E così mette fine a se stessa”.

   
Il relativismo, scrive ancora Sieferle, è “un virus che può penetrare l’individuo e spezzare la sua identità in innumerevoli frammenti”. Si chiede nel libro: “È possibile che una società si distrugga in processi di confusione ideologica? Penso che sia così. Le culture e le ideologie sono forze potenti. Le persone si fanno saltare in aria per Allah. Perché non dovrebbero distruggere un ordine sociale che non amano e non comprendono? Forse la scomparsa dell’Europa è una lezione per altre civiltà industrializzate (come la Cina) e forse gli ultimi ‘europe’' cercheranno rifugio all’estero”.

   
Il titolo, “Finis Germania”, incarna una paura, una paranoia, un timore di declino che è sempre stato presente nella storia e nella cultura tedesca e che ha avuto, come sappiamo, conseguenze nefaste. Sieferle sostiene che una Germania ricca e senescente, multiculturale e afflitta da senso di colpa irreparabile, “vuole scomparire”. E accusa i tedeschi di “infantilismo morale”.

   
Tre giorni prima del suicidio a Heidelberg nel settembre 2016, Sieferle aveva inviato ai suoi amici più cari una lettera in cui giunse alla conclusione che è in corso una deliberata autodistruzione, la “Finis Germania” appunto: “Questo processo di universalizzazione e globalizzazione è probabilmente inevitabile”, ha scritto Sieferle. “Dobbiamo essere chiari sul fatto che questo sarà accompagnato da innumerevoli attriti dolorosi. Molti tedeschi vorrebbero scomparire come popolo, disciolti nell’Europa o nell’umanità in generale. Altri popoli si opporranno vigorosamente a tale prospettiva. Non sarà armoniosa. La crisi dell’immigrazione è solo un segno premonitore di convulsioni che inghiottiranno tutto ciò che ora diamo per scontato”.
Qualcuno ora va a deporre fiori sulla sua tomba nel cimitero di montagna di Heidelberg, uno dei più belli della Germania, dove Sieferle riposa accanto a Max Weber. Ci sono solo le iniziali: “R.P.S.”.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.