L'epico viaggio nel vecchio West italiano, tra contrabbandieri e confini labili

Edoardo Rialti

Un viaggio nel quale si passa definitivamente dall’infanzia all’età adulta. "L'anima della frontiera", il nuovo libro di Matteo Righetto

"Il fiume è dentro di noi, il mare è tutto intorno a noi” scriveva Eliot: ci sono immagini esteriori che evocano intere regioni dell’anima. Parafrasandolo, verrebbe da dire che anche la frontiera è dentro di noi, il mondo è tutto intorno a noi. I vari generi letterari e immaginativi sono sempre stati uno specchio col quale guardiamo a certe dimensioni della vita. Non si tratta di mere cornici, perché l’ambientazione stessa, la somma dei dettagli e al tempo stesso qualcosa che li comprende e supera sempre, è la comunicazione stessa d’un certo modo di essere al mondo. Ci sono aspetti, verrebbe da dire livelli della vita, che si possono esprimere solo con un’epica militare, con una fiaba, con un noir, con un viaggio fantascientifico. Così, ci sono alcune cose che si raccontano solo con un western: il sentore di un mondo ancora selvaggio e sconfinato, prima che Google maps renda tutto leopardianamente piccolo, dove l’uomo e le sue leggi si incontrano e scontrano con riti e schemi molto più antichi, magnifici e crudeli, dove la storia e le conquiste della civiltà appaiono remote quasi appartenessero al passato o al futuro, eppure si fanno inesorabilmente avanti, con l’esercito, le poste, le strade. E la frontiera, appunto. Oltre il confine di Cormac McCarthy (che, al pari di Lansdale, ha spinto il western ben oltre i confini storici cui siamo banalmente abituati, facendone un’ambientazione contemporanea) non era solo un titolo ma una dichiarazione di poetica esistenziale, ed è proprio con una citazione di McCarthy che si apre L’anima della frontiera di Matteo Righetto (Mondadori), che ha il merito di mostrare come si possa avere non solo uno sguardo italiano sul western americano (basti pensare all’aggiunta mitica che Sergio Leone ha apportato al genere), ma come il nostro stesso paese, negli anni di Custer e Billy the Kid, avesse il “suo” western: le montagne e le valli del Brenta, nel formarsi progressivo e doloroso dei confini dell’Italia unita, luoghi del contrabbando di tabacco in cambio di metalli da barattare alle fiere. E’ in questi luoghi, che farebbero da sfondo anche alle fiabe e al folklore, con i loro pastori dagli occhi annebbiati da mesi di solitudine allucinata, con le superstizioni dei sabba e una lotta con la natura selvaggia che però resta sempre una danza innamorata e rispettosa, che si muovono anche finanzieri e fuggiaschi, tra nebbie e boschi, osterie e rifugi di fortuna. Un mondo che cambia, o sembra cambiare.

 

“C’era chi diceva che l’avvento della ferrovia avrebbe eliminato i confini e portato ricchezza e progresso per tutti, ma Augusto De Boer non era affatto convinto. Per come la vedeva lui, i poveri diavoli sarebbero rimasti poveri diavoli per sempre e le frontiere, tutti i tipi di frontiere, non avrebbero mai cessato di esistere. Avrebbero semmai continuato a spostarsi”. Per sfamare la sua famiglia, la giovane primogenita di un austero e saggio contrabbandiere compie un viaggio pericoloso che è anche un tentativo di scoprire la verità sulla scomparsa del padre, un viaggio nel quale “per trovare ciò che si cerca si rischia di perdere tutto ciò in cui si crede”.

 

Un viaggio nel quale si passa definitivamente dall’infanzia all’età adulta, la linea d’ombra esplorata anche da Conrad e Stevenson, il cui titolo si potrebbe anche invertire ne “la frontiera dell’anima”. Perché anche tra le montagne italiane, eterne e misteriose, la storia umana personale e collettiva si fa largo, non solo con la locomotiva a fondo valle, ma anche con le guerre e la politica, con la vigliaccheria, il tradimento, e il coraggio. Anche qui, ci sono cose di noi che si esprimono solo sdraiati di notte a guardare lucciole e stelle, masticando tabacco, imparando a sparare, con terrore ed eccitazione, conversando con il proprio cavallo, alzandosi alle due del mattino, con la schiena che ancora frigge per la fatiche del giorno prima, e trovare il proprio padre già in piedi, pronto a partire. Anche qui, la frontiera è dentro di noi.

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