Con tutti guai di Londra ci mancava anche la posh-guerra dentro a Vogue
Fughe, ripicche, faide antiche. Ecco la "Vrexit"
Londra. Ci lavorava da trentasei anni, ma Vogue aveva proprio smesso di leggerlo negli ultimi tempi, Lucinda Chambers, leggendaria fashion editor dell’edizione britannica della bibbia della moda. E la gran dama avvolta nei suoi drappi e nelle sue passamanerie ci ha tenuto a farlo sapere a tutto il mondo con un’intervista di cui si sta parlando molto, un’intervista cattiva in cui si toglie tutti i sassolini accumulati negli anni e sopra tutto da quando, in soli tre minuti, il nuovo direttore Edward Enninful, quarantacinquenne nato in Ghana, figlio di una sarta di Ladbroke Grove, venerato ex direttore di i-D, ex collaboratore di Franca Sozzani a Vogue Italia, ex direttore di W, l’ha licenziata, portando avanti quella che la stampa britannica sta descrivendo come una “Vrexit – fuga da Vogue” o come una “purga di posh girls”. Le quali si stanno vendicando facendo quello che viene loro meglio, ossia mostrarsi sdegnate e un po’ annoiate da tutto questo nuovo che avanza, tutto questo street style di alto bordo e questi social media che non hanno mai saputo maneggiare troppo bene.
“I vestiti sono irrilevanti per la maggior parte della gente, sono cari in maniera ridicola”, ha spiegato la Chambers al sito Vestoj.com, che ha dovuto cancellare l’articolo per un po’ per tutte le cattiverie che conteneva – qualcuno parla di possibili azioni penali, tutti si chiedono da chi siano venute le pressioni – prima di passare a fare nomi: Marni, marchio adorato con cui ha collaborato per anni, passato a Renzo Rosso, ossia “l’antitesi di tutto quello che rappresenta”, quella copertina con Alexa Chung con una maglia a righe di Michael Kors, «crap», una schifezza di quelle che vanno fatte quando ci sono gli inserzionisti importanti, il fatto che solo chi è amico di Anna Wintour vada avanti. Come Enninful, che a sedici anni si vestiva così bene da essere fermato per strada due volte in una sola settimana da gente del settore, che l’ha lanciato come modello e l’ha fatto diventare editor a soli 18 anni.
“Nella moda puoi andare lontano se hai un aspetto fantastico e sicuro di te, nessuno vuole prendersi la responsabilità di dire ‘ma fai schifo’”, prosegue la Chambers parlando con la fondatrice di Vestoj, la svedese Anja Aronowsky Cronberg, una che voleva fare da ponte tra l’accademia e la moda e che ora si ritrova per le mani uno degli scoop dell’anno. Perché il cambio della guardia, sullo sfondo di una spietata lotta di classe, non è finito con la Chambers (che è stata già sostituita da Venetia Scott, a occhio e croce sua coetanea). Prima di lei, insieme a un nugolo di assistenti e redattrici, se n’era andata la managing editor Frances Bentley e due giorni fa è stata la volta di Emily Sheffield, sorella bella di Samantha Cameron e più posh di tutte, la quale ha scelto di dire addio cinguettando lieta di aver passato un “decennio molto felice” a Vogue, anche se c’è chi dice che avesse trascorso gli ultimi mesi, consapevole della sua posizione delicata, a lamentarsi con tutti quelli che avevano la pazienza di ascoltarla.
Il retroscena della dipartita della Sheffield non si conoscono ancora, ma la matronale Shulman le ha subito organizzato una bella festa di addio per la settimana prossima, per celebrare il suo magazine che è stato bello e quasi nazionalpopolare con le copertine famose – Diana ridente in tunica arancione, la silhouette squisita del profilo di una giovane Kate Moss su sfondo dorato – e quella maniera tutta britannica di sfuggire all’estetica rarefatta del mondo della Wintour, che infatti ne avrebbe, si narra, agevolato la dipartita, la Vrexit. Enninful, che ha sei volte i followers della Shulman, ha dalla sua un cachet esorbitante per mandare via le ragazze e prendere altra gente, tornare a un’ispirazione più fresca e capace di andare oltre una readership bianca e middle class, andando lontano da quello che sarebbe l’ideale della Chambers, autorevole, addirittura utile. “Lo so che le riviste patinate devono parlare di aspirazioni, ma perché non possono essere anche utili?”, si chiede disperata, osservando che “nella moda proviamo sempre a fare in modo che la gente compri qualcosa di cui non ha bisogno”. Un sistema che ti sfrutta, ingiusto e fatto di fumo e di specchi, un teatro crudele dal quale non si può andare via bene. Lucinda lo sa. “Ho cinquantasette anni e so che quando sarà la stagione a settembre mi sentirò vulnerabile. Avrò un biglietto? Dove mi metteranno a sedere?”.
Antifascismo per definizione