Cerimonia per commemorare Xavier Jugelé, il poliziotto ucciso in attacco su Champs Élysées (foto LaPresse)

Il saluto al poliziotto gay di Parigi e la metamorfosi definitiva del senso comune

Giuliano Ferrara

La “gay culture” parte dagli anni Settanta del Novecento in America e il 25 aprile, alla Prefecture de Paris, ha celebrato il suo riconoscimento collettivo più alto in grado dopo essere diventata sens commun

Alzi la mano e scagli la prima pietra chi non si sia commosso ascoltando la voce rotta di Etienne Cardiles, la dizione composta ed elegante, le parole solenni e misurate, durante la commemorazione nazionale solenne del suo compagno poliziotto gay, il giovane Xavier Jugelé, vittima della sparatoria fliccofoba di giovedì notte sugli Champs-Elysées. Umanamente impossibile restare di pietra. La Préfecture de police è a quattro passi da casa mia, un edificio imponente e centrale nella topografia dell’Ile de la Cité, il cuore dell’antica organizzazione del potere centrale nel nucleo territoriale, l’Ile de France, che ha dato vita al primo stato-nazione europeo. L’immensa casa dei gendarmi guarda la facciata della cattedrale di Nôtre Dame de Paris, guarda l’Hotel Dieu, ricettacolo storico di pellegrini e malati, sulle rive della Senna. Nel suo cortile d’onore c’erano tutti i dignitari, dal presidente uscente ai candidati Macron e Le Pen, e una quantità schierata di poliziotti compagni di lavoro dell’ucciso.

 

Ma non sono la marcia funebre di Chopin, non la Legion d’Onore appuntata da Hollande sui cuscini deposti sulla bara, non la promozione postuma di Jugelé a capitano dei gardiens de la paix, non sono questi gli atti simbolici che resteranno e che spiegano tante cose. Cardiles, compagno pacsè di Xavier (si dice pacsè di due persone che hanno contratto un pacs, dizionario Larousse), è un diplomatico del Quai d’Orsay, che sarcasticamente e villanamente è ridefinito da tempo Gay d’Orsay. È un bell’uomo barbuto, massiccio, curato, fisico e timbro vocale perfetti nel ruolo di amante e sposo autorevole di un ragazzo più giovane e molto vitale. All’insegna della mancanza di odio (non avrete il mio odio) lo ha raccontato per quel che era, musica, cinema, attivismo Lgbt, tenerezza, amore della pace e del benessere, la protezione come missione civile di un poliziotto gay nella città che ha tenuto Marine le Pen sotto il cinque per cento nonostante centinaia di morti da terrorismo e la grande paura degli ultimi due anni.

 

La “gay culture” parte dagli anni Settanta del Novecento in America e martedì 25 aprile, alla Prefecture de Paris, ha celebrato con questo tono e con questa maestosa semplicità il suo riconoscimento collettivo più alto in grado dopo essere diventata senso comune. Sens commun, senso comune appunto, è il nome del piccolo partito originato dalle imponenti proteste contro le nozze gay, il mariage pour tous, voluto da François Hollande. È un partito aggregato alla campagna faux cul, ipocrita, dello sconfitto Fillon, che ha giocato senza successo la carta della famiglia, e dei valori famigliari cosiddetti, senza le carte in regola d’integrità personale per sermoneggiare in modo persuasivo. 

 

Il senso comune abita evidentemente altrove, nella famiglia bizzarra e amorevole del candidato vincente, Emmanuel Macron, che ha sposato nel 2007 Brigitte Trogneux, essendo di ventiquattro anni più giovane di lei, sua antica professoressa al liceo, una coppia senza figli propri alla quale Marine Le Pen ammicca con mal dissimulata insolenza dall’alto dei suoi tre eredi grands adolescents, che la mettono in contatto, ha detto in tv, con i problemi della gente comune, e le consentono di parlare au nom du peuple. Abita, il senso comune, nella consacrazione delle esequie di Jugelé, con la sua faccia graziosa da abbonato a Libé, una cerimonia che ha dato onore e un’aura sacrale a una figura civile, il poliziotto, che una volta era percepito come il guardiano dell’ordine virilista, l’agente della forza e della repressione, e ora campeggia come eroe in quello che il senso comune considera o considerava un disordine esistenziale, una leggerezza libertina da non confondere con i sacramenti. Dietro le avventure del senso comune, e la sua metamorfosi mai tanto simbolicamente avvertita, sta quella che il filosofo della storia Marcel Gauchet, una lettura da fare per tutti, definisce come il passo definitivo, compiuto proprio nell’ultimo terzo del secolo scorso, a partire dai Settanta, dell’ordinamento autonomo della società. Che diventa una somma di diritti individuali, una somma di libertà senza dipendenza alcuna da appartenenza e comunità, libertà dei singoli che si distacca definitivamente dalle strutture eteronome, la legge di Dio, del religioso. Un fenomeno che si sposa con la globalizzazione e il turbinoso trionfo dei mercati, due componenti della nuova storia fondata sui diritti individuali, ma difficile da padroneggiare, come dimostra il malessere strano, spesso inafferrabile, espresso dall’ondata identitaria che chiede la restaurazione di vecchi modelli di vita e di esperienza. Ma lo chiede, nonostante tutte le sue buone ragioni, nonostante i fallimenti e gli ostacoli sulla via della compiuta autonomia individuale dell’uomo e della donna solitari, nel mondo definito dal diritto e dagli interessi dei singoli, al di fuori del nuovo senso comune.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.