Joan Rivers (Foto AP)

Questo non è il coccodrillo di Joan Rivers

Manuel Peruzzo

Quale tipo di donna ha un coccodrillo che inizia con "è morta a 81 anni in seguito a complicazioni chirurgiche" e segue con: "ed ecco alcuni fatti divertenti che non sapevate su di lei"? Joan Rivers.

Questo non è un coccodrillo, e non può esserlo per almeno due motivi. Il primo è che Joan, tra le molte cose, odiava le lacrime e la retorica buonista d'occasione, potendosi permettere una libertà guadagnata con un coerente umorismo politically incorrect, e occupando nella comicità il posto che a Camille Paglia spetta per il femminismo; il secondo è che le uniche parole utilizzabili per renderle onore sono le sue, che in oltre sessant'anni di carriera, cioè dalla scoperta della propria vocazione comica al Greenwich Village nei primi anni cinquanta in poi, ha oltrepassato confini, consentendo a tutte le Sarah Silverman e i Louis C.K. di essere altrettanto liberi.

 

La morte? "Non mi spaventa la morte. Mio padre era un dottore, sono cresciuta circondata dalla morte per tutta la vita e mi ci sono abituata. Perché era un dottore di merda", o anche: "Mi sono rifatta così tante volte che quando morirò doneranno il mio corpo alla Tupperware". In I hate everyone...Starting with me, dettò precise istruzioni per il suo funerale: niente rabbini, bensì Maryl Streep a piangere in cinque accenti diversi, farla sembrare più bella da morta che da viva, e un ventilatore che le muovesse i capelli nella bara come a un concerto di Beyoncé. Anche limitandosi a un necrologio bisognerebbe farlo usando il suo stile, come ha fatto l'autrice di Girls, Lena Dunham, in un tweet riversoniano: "Joan se ne è andata ma un pezzo di lei vive: il suo naso, perché è fatto di poliuretano".

 

Joan Rivers si è rifiutata molte volte di scusarsi, era nel suo carattee. Come quella volta a metà degli anni ottanta in cui, all'apice della carriera, telefonò a Johnny Carson, amico e padre di tutti i Letterman, per avvisarlo che la concorrente FOX le aveva proposto uno show e che lei lo aveva accettato. Lui attaccò e non le parlò mai più. Venne bannata dalla seconda serata americana per anni (il suo ritorno al Tonight show lo dobbiamo a Jimmy Fallon: si è presentata con un cuscino per le emorroidi). Per lei non fu slealtà verso un amico: era lavoro. Fu solo l'inizio di un brutto periodo. Il contratto venne revocato, il marito Edgar si suicidò, la figlia Melissa smise di parlarle (lei faceva continue battute in TV giocando sulla sindrome della bruttina: "Si è ucciso perché mi sono tolta il sacco dalla testa mentre facevamo l'amore", alla piccola Melissa sembrava troppo presto). A Joan è sempre piaciuto ripetere una frase di Sally Marr: "Non ho paura della morte", diceva. "Sono nello show business. Muoio milioni di volte".

 

Tra le cose che la spaventavano più di tutte, ad occupare il posto della morte c’era l'agenda vuota. Nessun appuntamento significava che il mondo l'aveva dimenticata, che non contava nulla per nessuno, e aver scritto battute per Topo Gigio, esibitasi in centinaia di locali, essere apparsa in programmi storici della televisione comica americana come l’Ed Sullivan show o il Tonight Show, era stato vano. Che era veramente morta. Lo dice in A Piece of Work, un documentario biografico del 2010, dove si mostra un lato intimo, senza maschere (fuorché gli strati di trucco, prima operazione mattiniera). Dove si inquadra il leggendario archivio di battute che la sovrasta nel proprio appartamento iper-arredato, catalogate per argomento: droga, aborto, nazismo, no sex appeal, omosessuali, lifting, Beverly Hills, Il mio corpo, e ogni argomento che in generale si tenta di evitare nelle conversazioni tra gente per bene. Centinaia di battute collezionate in cartoncini e conservate inscaffali che raccontano una vita di lavoro. La cosa più sacra per Joan.

 

[**Video_box_2**]O come quando, dopo la liberazione di tre donne da una cantina in cui erano tenute da Ariel Castro, (il rapitore che le aveva stuprate e torturate per anni), nel promuovere il suo reality con la figlia Melissa, disse: "Quelle donne a Cleveland avevano più spazio". E quando gli intervistatori, scioccati e ammutoliti, si aspettavano una scusa, o un superfluo "stavo scherzando", lei aggiunse: "troppo presto?". Quando tutti i giornalisti indignati hanno scritto che quella volta era troppo, quella volta la comica dissacrante, acida, eccessiva si era spinta oltre, Joan continuò a fare quel che ha sempre fatto: "Non c'è nulla di cui scusarsi. Ho fatto una battuta. Questo è ciò che faccio. Calmatevi, ora sono libere, andiamo avanti". E infatti continuò: "Hanno vissuto gratis per più di dieci anni", e "Scommetto che fra meno di tre anni una di loro finirà in 'Ballando con le stelle'". Cinica, graffiante, libera.

 

O come quando, per pubblicizzare Diary of a Mad Diva alla CNN, si è rifiutata di scusarsi per l'irriverenza, per la cattiveria in Fashion Police, il programma di moda che si occupa di star (riferendosi a un brutto vestito riesumato dagli anni novanta e indossato da un rapper, sentenziò: "L'unico Versace più brutto visto in vita mia è Donatella"), per l'indossare pellicce, per prendersela con Anna Frank che ha scritto un solo libro e ha venduto milioni di copie senza neppure l’incomodo di trovare un finale decente, per ironizzare sui messicani, per essere quello che è: scontrosa, cinica, camp. Per non scusarsi. Ha lasciato lo studio, e solo dopo, invitata da David Letterman, ha raccontato che arrivata a ottantun anni non aveva più voglia di spiegare l'ovvio, che lei è una comica e non una stronza, che se guadagni milioni di dollari te ne freghi di una che ti commenta la gonna, che un intervistatore non deve giudicarti ma cercare di capire cos'hai da dire e aver fiducia nell’interlocutore. (Letterman all'ennesima battuta scorretta di Joan si è tolto la giacca ed è uscito di scena, lasciandola sulla sedia a raccontar sconcezze esilaranti).

 

 

Joan Rivers si è rifiutata di scusarsi per le battute sull'olocausto, sui pazzi, sui grassi, sui gay ("Non ho nulla contro i gay, ma credo che dovrebbero esserci leggi per far crescere i figli da madri lesbiche e padri gay, così che non sappiano solo costruire mensole ma anche decorarle"), sui bambini brutti ("Per fortuna non è un gemello"), sulla sua vecchia fica ("La mia vagina scoreggia così rumorosamente che il mio ginecologo deve indossare i tappi"), con tutte le persone offese da Gwyneth Paltrow a Heidi Klum, perché scusarsi era ammettere che ci fosse qualcosa di male, era cedere al rimprovero di una società senza senso dell'umorismo ma sempre pronta alle lacrime da coccodrillo. C'è un video esemplare in cui uno spettatore la interrompe. Lei dice che odia i bambini e che l'unica che avrebbe voluto avere è Helen Keller (la bambina sordo-cieca in "Anna dei miracoli"), perché non parla. Lui la sgrida dicendole che non fa ridere se hai un figlio sordo. A questo punto un qualsiasi comico italiano si metterebbe a piangere, si scuserebbe, si imbarazzerebbe per aver oltraggiato il padre. Lei no, e dice: "Sì che è divertente, e se non ti piace vattene. Stupido cretino, fatti dire cos'è l'umorismo: la comicità è far ridere tutti di tutto e affrontare le cose", e poi riprende con una battuta dopo l'altra, passando dall'11 settembre a Osama Bin Laden "come fai a non trovarlo, c'è una sola spina in Afghanistan e lui è in dialisi: segui il cavo".

 

 

Joans non si è mai scusata perché ha sempre saputo di essere divertente, come racconta in uno splendido ritratto del 2010 l'amico Jonathan Van Meter sul New York Times. Aveva coraggio. Perché non ha mai sentito il bisogno di sembrare una persona migliore, perché scherzare su tutto non significa che non ti importi. Non ha mai ceduto all'umorismo corretto, umanitario, pietoso e generalista. Ha preferito essere offensiva, profana e terribilmente divertente, e a lasciare a noi la libertà di capire la profondità di quell’atteggiamento. Ci stava dando credito, ci stava reputando abbastanza adulti e intelligenti da sapere che il confine non era scomparso, che lei lo oltrepassava e ci dava la possibilità di riderne, al sicuro. Ora che è morta, l'unico rimpianto che abbiamo come spettatori è questo, che se si fosse risvegliata avrebbe certamente avuto materiale per un nuovo tour. E sarebbe stato bellissimo.

Di più su questi argomenti: