Giovanni Pitruzzella, qui con il presidente Sergio Mattarella, interviene nel dibattito sul web e le regole dell’informazione (foto LaPresse)

Menzogna e privilegio

Stefano Cingolani

“Vi spiego perché le bugie inquinano il mercato delle idee”. Parla Pitruzzella, capo dell’Antitrust

Il mercato delle idee deve restare libero, è la lezione duratura dei costituzionalisti americani, ma la libertà non dà diritto alla menzogna. Non esiste una verità precostituita che possa essere imposta, tuttavia ciò non conferisce a nessuno il privilegio delle bugie. E’ una regola morale fondamentale: chi mente viola la dignità dell’uomo, sosteneva Immanuel Kant. E non solo: manipolare l’informazione o diffondere notizie false crea un’asimmetria perversa che impedisce la concorrenza leale in ogni campo, dallo scambio delle merci a quello dei dati, dei fatti, dei frammenti di realtà chiamati notizie. Sono precetti che valgono per chiunque tratti quella merce tanto peculiare chiamata informazione e in particolare per i mass media, a cominciare da quelli tradizionali; anche se, per le sue caratteristiche, per la sua natura, la rivoluzione digitale richiede un’attenzione nuova e del tutto particolare. Parte da qui la riflessione che ha spinto Giovanni Pitruzzella a lanciare la sua proposta dalle colonne del Financial Times: dar vita a una rete di agenzie europee indipendenti, sul modello dell’antitrust, coordinate da Bruxelles, che possano intervenire rapidamente, non appena spuntano notizie false, infondate, inattendibili o diffamatorie. Beppe Grillo ha parlato di inquisizione, altri hanno evocato lo spettro di un monopolio della verità. “Nessun monitoraggio, nessun controllo ex ante, tanto meno nessuna censura, tuttavia è illusorio affidarsi all’autoregolamentazione dei singoli soggetti, anche perché non esistono norme adeguate alle quali far riferimento. Come è accaduto in altre fasi storiche, in altre rivoluzioni tecnologiche che hanno trasformato l’umanità, ci sono compiti che spettano ai poteri pubblici”.

 

Come costituzionalista e come guardiano della concorrenza alla guida dell’antitrust italiano, è particolarmente sensibile all’impatto sociale e a quello giuridico dell’era internet. Come studioso di cultura liberale ci tiene, in modo particolare, a non mettere in pericolo l’innovazione e il mercato, tutelando nello stesso tempo il loro impatto progressivo sul benessere e lo sviluppo umano. Il dibattito è già molto avanti nell’arena internazionale, molto meno in Italia entrata in ritardo nel mondo web. Il clima politico e culturale avvelenato dalla polemica continua e partigiana spiega in parte le reazioni strumentali, soprattutto da parte del Movimento 5 stelle. Dispiaciuto, ma non sorpreso, Pitruzzella tiene a precisare che non aveva in mente nel modo più assoluto i pentastellati; del resto, non ritiene Grillo un fabbricatore professionale di fake news. Anzi, ha ragione il comico fattosi politico nel chiedere la massima attenzione anche a quel che viene pubblicato dai giornali o diffuso dalla televisione. Tuttavia, l’elezione di Donald Trump, la cortina di notizie false e tendenziose (come si diceva un tempo) che lo ha circondato, con un ricorso estremo e spregiudicato alla vecchia propaganda elettorale, il revival della disinformatia di matrice sovietica sia pure in versione digitale, insomma tutto questo gran polverone dà l’impressione che la libertà si sia trasformata in licenza, la democrazia sia degenerata in demagogia. Forse abbiamo raggiunto il punto di non ritorno, siamo arrivati a una svolta rispetto alla concezione anarchica della rete o alla sua libertà assoluta che in gran parte è illusoria. “Se la produzione dell’informazione può essere aperta e decentrata al massimo, lo stesso non si può dire della sua diffusione – sottolinea Pitruzzella – Infatti passa attraverso piattaforme che sono in numero limitato e sempre più controllate”.

 

Ma ad aver messo in moto il dibattito sul web e le regole, non sono le eventuali manipolazioni politiche, difficili se non impossibili da verificare in ultima istanza. E’ piuttosto uno sguardo di più lunga durata. Ogni rivoluzione tecnologica porta con sé una componente distruttiva e frantuma i vecchi equilibri. Leggi, norme e comportamenti che impongano “lacci e lacciuoli” finiscono per ostacolare, se non impedire, che la distruzione diventi creatrice e sviluppi il suo impatto positivo sul benessere della popolazione. Ciò non significa che siano inutili regole volte a tutelare i diritti e a garantire la dignità dell’uomo. La prima rivoluzione industriale ha generato prima la legislazione sul lavoro poi lo stato sociale. La seconda rivoluzione, quella che con l’elettricità e con il petrolio ha messo a disposizione energie prima impensabili, ha aperto la strada alla tutela dell’ambiente. L’innovazione finanziaria, a sua volta, ha reso indispensabili le banche centrali e i guardiani della borsa i quali non hanno soffocato i mercati, ma hanno vigilato affinché i giochi dello scambio si svolgessero in modo corretto per tutti. Lo stesso può dirsi oggi che siamo alle prese con la ricaduta sociale di quell’enorme sviluppo delle forze produttive avvenuto nell’ultimo quarto di secolo.

 

“La nuova rivoluzione industriale fa compiere un salto di produttività - spiega Pitruzzella – che potenzialmente aumenta il reddito pro capite, ma nello stesso tempo riduce molti posti di lavoro. Lo stiamo vedendo anche con l’impatto di internet sul sistema bancario, tuttavia si è già prodotto su vasta scala in altre industrie. Nel 1990 a Detroit, la capitale dell’auto, i tre Big (General Motors, Ford e Chrysler) avevano un valore di borsa pari a 36 miliardi di dollari e occupavano un milione e 200 mila lavoratori, nel 2014 le compagnie della Silicon Valley capitalizzavano circa mille miliardi con appena 137 mila dipendenti”. Le contraddizioni interne dello sviluppo hanno creato una reazione negativa, una sorta di controrivoluzione della quale il populismo è conseguenza diretta. E gli Stati Uniti sono guidati da un magnate che vuole fermare la globalizzazione americana se non addirittura invertirne il senso di marcia. Nel passato sono trascorsi decenni prima che venissero concepite e approvate nuove regole.

 

Oggi i tempi si sono accorciati in modo impressionante. “La rivoluzione digitale impone una velocità di reazione prima impensabile – spiega Pitruzzella – Ecco perché io penso che occorra una rete di istituzioni autonome, agili e capaci di agire con estrema sollecitudine, senza attendere i tempi dei tribunali”. D’altronde, il ricorso ai giudici implica già di essere arrivati al termine del percorso, mentre è importante esercitare un disincentivo se non proprio un’azione di contenimento volendo usare un termine militare. Libero mercato dell’informazione, senza barriere all’entrata e senza colpevoli asimmetrie; norme per tutelare che il confronto si svolga in modo corretto, quindi niente menzogne o false notizie; un’agenzia che garantisca un “cimento delle idee” e, nel caso in cui si manifesti un reato, il ricorso alla giustizia ordinaria: la proposta di Pitruzzella potrebbe essere schematizzata così, in queste quattro fasi. All’obiezione di chi paventa il grande fratello se non il monopolio della verità, il presidente dell’antitrust contrappone la teoria del contratto e del conflitto: ogni volta che si presenta un contrasto irrisolvibile si ricorre sempre a una istituzione terza e neutrale, senza bisogno di arrivare alla violazione della legge in senso stretto.

 

Dunque, perché ciò non dovrebbe valere anche sul mercato digitale? A chi scrolla le spalle sottolineando che le bufale ci sono sempre state e sono sempre circolate, basti pensare all’ampio uso che ne ha fatto la stampa cosiddetta popolare fin dalla sua nascita, a chi ricorda Randolph Hearst (il magnate americano dei giornali californiani al quale si è ispirato Orson Wells per il suo “Citizen Kane”) inventore del “giornalismo giallo” che doveva stupire non informare, a tutti costoro il giurista Pitruzzella risponde citando “Diritto e Verità” di Peter Häberle (pubblicato in Italia da Einaudi). La democrazia non è il regime della verità, perché dove s’impone una verità assoluta non c’è confronto di opinioni né conflitto tra le idee, ma l’assenza di una verità ultima non legittima il diritto alla menzogna la quale, infatti, è il concime di ogni dittatura. Una riflessione dello studioso tedesco che, non a caso, parte dalla caduta dei regimi totalitari. Non solo. Pitruzzella chiama in causa l’articolo 10 della dichiarazione dei diritti dell’uomo, il quale parla esplicitamente di diritti e doveri. Ebbene, a tutti stanno cari i diritti del web o di chi opera nella rete, ma pochi citano i conseguenti doveri. Scendendo dal parnaso delle idee alla concretezza quotidiana, le ricadute delle bugie via internet sulla vita di ogni giorno sono enormi. Come si fa a tutelare la dignità delle persone insultate e ingiuriate? Come si fa a proteggere chi viene offeso come è accaduto alla povera Tiziana Cantone con la diffusione del suo video hot? Altro che violazione della privacy.

 

Nella rete circola lo sdegno, scrivono i giornali, ma chi ha fatto qualcosa perché non arrivasse al suicidio? E ancora: le false notizie di natura medica mettono in pericolo la salute dei cittadini. Le presunte teorie parascientifiche diffuse senza un’adeguata verifica minacciano spesso la convivenza civile. E potremmo continuare. “Il mondo di ieri è finito – insiste Pitruzzella – Io ne sono più che convinto. Adesso dobbiamo costruire il mondo di oggi e preparare se possibile quello di domani. Dobbiamo non solo difendere, ma enfatizzare le nuove opportunità e valorizzarle. Non sono affatto un pessimista tecnologico, al contrario. Ogni variante del luddismo fa solo del male al progresso. Ma l’idea che tutto possa essere inventato là per là, che conta solo il momento, l’attimo fuggente, che non occorrono regole e istituzioni per favorire lo sviluppo, ebbene questo sì che è nello stesso tempo sbagliato e pericoloso”. Internet ha superato la fase infantile e non è entrata ancora nella piena maturità. Secondo una scuola di pensiero molto diffusa, è proprio della rete prolungare senza fine l’infanzia, in una sorta di complesso di Peter Pan adattato alla nuova era.

 

Traslato in politica equivale a sostenere che il movimento non debba mai farsi istituzione. In questo caso vivremmo in una eterna dimensione anarco-situazionista la quale appare come malattia infantile di un nuovo regime di democrazia diffusa, diretta, partecipativa, mentre in realtà diventa la degenerazione senile della democrazia liberale, foriera di pericoli neo-totalitari. Proprio per salvare il bambino e gettare l’acqua sporca servono regole. “Intendiamoci – aggiunge Pitruzzella - nessun sa bene ancora come sarà questa nuova normativa che per me, lo ripeto, deve restare leggera e non invasiva; tanto meno sappiamo quali istituzioni sono le più adeguate. Ma è ora che il dibattito faccia passi avanti, oltre la sua dimensione puramente teorica. E’ arrivato il momento di cimentarsi con la prassi, la concretezza delle scelte e degli strumenti. Se il mio intervento ha offerto un contributo non posso che essere soddisfatto. Spero che altri vogliano entrare nel merito e, per così dire, sporcarsi le mani”.

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