Elogio del grande spot pro life a Sanremo

Claudio Cerasa

Anche chi non ha l’età deve essere considerato una persona in carne ed ossa

Forse è arrivato il momento di cantargliela davvero la verità. Se in Italia organizzi una campagna mediatica contro l’infertilità, facendo notare che le culle vuote sono un dramma della nostra epoca e ricordando che il trend della natalità del nostro paese è drammatico al punto che le non nascite tra dieci anni rischiano di essere pari al pubblico presente a un concerto di Vasco Rossi (50 mila persone), sei un pazzo criminale. Perché lo stato deve farsi i fatti suoi, non deve sbirciare nelle nostre camere da letto e deve stare alla larga da qualsiasi giudizio di valore sui temi legati alla demografia, alla fertilità e alla natalità. La motivazione è sempre la stessa: siamo uno stato di diritto, non siamo uno stato fascista, dunque non ci rompete le scatole con i vostri piani nazionali contro la denatalità. Il ragionamento vale per le campagne sulla fertilità, ovvio, ma vale anche per altro.

 

 

E quando lo stato si occupa di vita succede quello che avete visto accadere nelle ultime ore, dopo il bellissimo spot scelto per presentare il Festival di Sanremo: polemiche, indignazioni, attacchi feroci, vibranti scomuniche contro la scelta di promuovere il Festival della canzone italiana con tre feti riprodotti al computer che nel pancione delle rispettive mamme canticchiano, schioccando le dita, un grande classico di Sanremo: “Non ho l’età”. “Tutti cantano Sanremo”, dice il conduttore dell’edizione 2017, Carlo Conti. Scandalo, vergogna, oltraggio: la più importante rete televisiva italiana, Rai 1, per presentare il più grande evento della televisione italiana, Sanremo, sta dicendo a milioni di persone, con la voce di uno dei conduttori più famosi d’Italia, che i feti che si trovano nei grembi delle future mamme non sono solo un grumo di cellule pronte a trasformarsi nel giro di qualche mese in persone ma sono già delle persone in carne ed ossa, degli esseri umani, con un volto, un’anima e una propria struttura cromosomica, unica e irripetibile. Non si sa se volontariamente o involontariamente, ma lo spot di Sanremo è il più grande messaggio pro life mai visto nella storia televisiva del nostro paese e sarebbe bello se la Rai decidesse di non “interrompere” la vita di questo spot e di rivendicare così la bontà di una scelta razionale e persino naturale che non fa altro che riprendere le parole usate ogni anno a luglio, in occasione della Giornata mondiale della vita, non da un pericoloso reazionario come Joseph Ratzinger ma da un pacioso e rassicurante Papa argentino di nome Francesco: “La dignità di ogni persona umana va preservata dal momento del concepimento fino alla morte naturale”. Al contrario di quello che si potrebbe credere, i messaggi pro life non hanno nulla di punitivo o di aggressivo nei confronti di chi non riesce, di chi non può o di chi non vuole portare avanti una gravidanza.

 

I messaggi pro life sono sempre messaggi di festa, di gioia e di amore che non vanno a colpire la pancia delle persone ma che puntano ad accendere una luce, una lampadina, provando a descrivere la bellezza di una nuova vita e cercando di dare coraggio a tutti coloro che si spendono ogni giorno per dare una mano non a chi ha già scelto cosa fare della persona che ha in pancia ma a tutte le meravigliose Paola Bonzi d’Italia che tentano di aiutare chi ha dubbi, chi non sa cosa fare, chi prova a capire razionalmente il senso di una scelta: con amore e senza giudicare. Un appello alla vita, come quello contenuto nel meraviglioso spot di Sanremo, andrebbe rivendicato, spiegato, rilanciato. Andrebbe reso virale: quando nell’epoca della post verità qualcuno si azzarda a mandare in onda una verità non si può che essere allegri e non si può che sperare che ci sia qualcuno che colga qualcosa di semplice: la bellezza e la sacralità di una vita valgono sempre, anche quando non si ha l’età per essere considerato da persone in carne ed ossa. Forse è arrivato il momento di cantargliela davvero la verità. Viva Sanremo.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.