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Negli Stati Uniti è censura di libri per bambini. Il politicamente corretto fa strage di titoli
Roma. In Francia, i giacobini originali sono impegnati a sfornare libri per bambini dai titoli edificanti: “Ho due papà che si amano”, “Papà porta la gonna”, “Signora Zazie, ha il pistolino?” e “La nuova gonna di Bill”. In America, i “nuovi giacobini”, come li definisce il Wall Street Journal, sono scatenati a purgare fiabe e libri illustrati per l’infanzia. Il Journal racconta quanto sta accadendo nel mondo della grande editoria americana con un articolo dal titolo: “La polizia del politicamente corretto si abbatte sui… libri per bambini”. La “diversità” è diventata collera e si è trasformata in ripudio dei libri. Il primo caso è stato “A Birthday Cake for George Washington”, libro per bambini “reo” di aver ritratto gli schiavi a casa del presidente americano come sorridenti e dunque sottomessi. Il fatto che il libro sia stato scritto da Ramin Ganeshram, una autrice iraniana di Trinidad, e illustrato da due afroamericane, non lo ha salvato dal macero. “Non crediamo che questo titolo soddisfi gli standard di adeguata presentazione delle informazioni per i bambini più piccoli”, hanno detto dalla casa editrice Scholastic Publishing dopo le critiche al libro. C’era stata pure una petizione su Change.org per la sua rimozione dalle librerie. Poi è toccato al libro “A fine dessert” di Emily Jenkins, anch’esso colpevole di aver “degradato” gli schiavi mostrandoli felici nel preparare i dolcetti. E pensare che era stato scelto come uno dei migliori libri illustrati dal New York Times, con il recensore John Lithgow che aveva difeso “la scelta coraggiosa di ritrarre una donna schiava sorridente”.
Ma la campagna ideologica era già partita, e Reading While White, un blog letterario sul tema del razzismo nei libri per bambini, aveva accusato il volume di “perpetuare le immagini dolorose degli schiavi ‘felici’”. Alla fine, pure l’autrice, Emily Jenkins, ha fatto autodafé, chiedendo scusa ai lettori in quanto era stata “insensibile”. Lo schiavo nero deve essere sempre triste. “There Is a Tribe of Kids” di Lane Smith aveva avuto l’ardire di mostrare dei bambini che “giocano a fare gli indiani”. Al macero pure questo titolo! Poi sono state ritirate dal commercio tutte le copie di “When We Was Fierce” di E. E. Charlton-Trujillo, dove uno slang è stato ritenuto “profondamente insensibile”. Al macero, nonostante Publisher Weekly lo avesse elogiato come “una storia americana moderna, straziante e potente”. “The continent” di Keira Drake è stato censurato perché mostrava con condiscendenza i popoli “incivili”. E pochi giorni fa è stata fermata la pubblicazione di “Bad little children’s books”.
Dalle cesoie del Catone a stelle e strisce passarono per primi, nel 1992, il “vecchio cinese” della “Pastorella e lo spazzacamino” (convertito nel “vecchio uomo”), mentre “Gli abiti nuovi dell’imperatore” sacrificarono pessimismo e tristezza. Prese questa decisione il Chronicle Book, l’editore statunitense, spingendo Glyn Jones, il miglior conoscitore della letteratura danese, a troncare ogni rapporto con l’editore dopo che gli era stato chiesto di cambiare il finale della “Piccola fiammiferaia” “per rendere la storia più allegra”. Echi di quel Sessantotto in cui la fiaba doveva essere demistificata e Cappuccetto non poteva più vestirsi di rosso, ma doveva cambiare in giallo e in blu. Così, nel giro di qualche anno, le fiabe diventarono pedagogiche. E mortalmente noiose. E si finì con la ministra tedesca della Famiglia, Kristina Schröder, che se la prese con le favole dei fratelli Grimm, “sessiste e razziste”, e con gli attivisti di Black Lives Matter che ora decidono persino cosa debbano leggere i bimbi d’America prima di addormentarsi.
Antifascismo per definizione