Così i cinesi guastano le feste agli americani

Maurizio Stefanini

Si accusa spesso la globalizzazione di imporre ai cittadini di tutto il mondo il modo di mangiare all’americana, con danni alle culture gastronomiche locali. Ma il recente allarme rimbalzato anche dalle pagine del New York Times ci ricorda che pure la più tradizionale cucina statunitense può essere paradossalmente vittima dell’americanizzazione. Dopo quello del Thanksgiving Day, infatti, anche il menu di Natale e Capodanno soffrirà per il terribile rincaro delle noci pecan, il cui prezzo quest’anno è salito del 30 per cento rispetto al 2012.

    Si accusa spesso la globalizzazione di imporre ai cittadini di tutto il mondo il modo di mangiare all’americana, con danni alle culture gastronomiche locali. Ma il recente allarme rimbalzato anche dalle pagine del New York Times ci ricorda che pure la più tradizionale cucina statunitense può essere paradossalmente vittima dell’americanizzazione. Dopo quello del Thanksgiving Day, infatti, anche il menu di Natale e Capodanno soffrirà per il terribile rincaro delle noci pecan, il cui prezzo quest’anno è salito del 30 per cento rispetto al 2012. E non solo per colpa di un’annata cattiva (le piogge torrenziali in Georgia hanno ridotto la produzione della metà, in South Carolina il maltempo ha distrutto intere piantagioni, mentre in Texas e  in Oklahoma la siccità ha depotenziato la produzione).

    La responsabilità del rincaro dell'ingrediente principale della dieta "natalizia" americana, è più che altro da ricondurre alla moda che ha contagiato la emergente nuova borghesia cinese, per cui il consumo della tradizionale leccornia yankee è diventato uno status symbol molto ambito. E le noci che finiscono sulle mense del Capodanno cinese, evidentemente, sono quelle sottratte alle mense dei consumatori americani.

    Nome scientifico Carya illinoinensis, il pecan è un albero alto fino a 50 metri, cugino del nostro noce e diffuso nel Nord America centro-meridionale dalle regioni messicane di Jalisco e Veracruz fino agli Stati Usa di Georgia, Alabama, Iowa, Illinois, Kansas, Missouri, Indiana, Tennessee, Kentucky, Mississippi, Louisiana, Texas, Oklahoma e Arkansas. Residualmente la noce viene prodotta anche in Brasile, Australia e Israele, e qualche albero dà oggi frutti perfino in Sicilia e in Puglia, ma il 95 per cento dell’offerta mondiale proviene ancora dagli States. La parola “pecan” viene dalla lingua degli indiani algonchini, e indica una noce da rompere con una pietra. Simile a una grossa nocciola allungata, ma con la forma del gheriglio che rimanda alle noci comuni, il frutto dal sapore dolce e delicato costituiva storicamente una delle basi della dieta degli indiani che vivevano lungo il Mississippi. Il conquistador spagnolo Álvar Núñez Cabeza de Vaca nel ‘500 riferì di tribù che si nutrivano esclusivamente di noci pecan per almeno due mesi all’anno; all’inizio del ‘700 un altro esploratore, Isidro Félix de Espinosa, testimoniò di grandi riserve piene di noci sotterrate, a volte usate come monete.

    Principale fonte di grasso vegetale degli indiani, la noce pecan entrava anche nella ricetta del pemmican: la famosa preparazione a lunghissima conservazione, fino a sette anni, che gli indiani portavano con loro nei lunghi viaggi e che sarebbe stata ripresa dai pionieri del West e dagli esploratori polari, ispirando probabilmente anche l’invenzione del dado da brodo e delle zuppe liofilizzate. Sintesi dei prodotti della caccia con quelli della raccolta, il pemmican si preparava anzitutto tagliando a strisce la carne della selvaggina e mettendola a seccare, con un risultato al palato che ricorda molto quello delle coppiette romane. Nel frattempo il cacciatore aveva pensato a frantumare le ossa della preda, ricavandone il midollo. E col midollo veniva impastata la carne ulteriormente sbriciolata, assieme appunto a noci pecan, nocciole, semi di zucca e bacche.

    Gli americani di oggi consumano grandi quantità di pecan già macinati e spezzettati come snack, ma soprattutto le noci sono alla base di quella Pecan Pie – molto simile a una crostata – che nelle feste statunitensi viene consumata come il panettone in Italia. Sembra che, a differenza di molti altri piatti, non ci sia stata una trasmissione diretta tra la gastronomia degli indiani e quella dei pionieri, e la teoria più diffusa è che la torta sia stata un’invenzione di cuochi creoli di New Orleans, che avrebbero riciclato qualche ricetta francese mettendo le pecan al posto delle noci comuni. Ma poiché un altro elemento base della ricetta è lo sciroppo di mais, c’è pure chi sostiene che la Pecan Pie sia stata inventata e propagandata dall’industria alimentare negli anni ’30 con lo scopo di smerciare il prodotto, inserendo tra gli ingredienti le noci pecan per conferire al piatto una nota di autenticità aborigena. 

    LA RICETTA DELLA PECAN PIE - Per 12 fette di Pecan Pie, si impastano 150 grammi di farina, 125 di burro, un cucchiaio di zucchero a velo e uno di acqua gelata. Si mette in frigo per una o due ore. Si stende la pasta nello stampo per forno, rivestendo pareti e bordi. Si punzecchia il fondo con una forchetta, coprendolo con un foglio di carta da forno cosparso di fagioli secchi. Si fa cuocere per 15 minuti in forno preriscaldato a 200 gradi. Si tolgono fagioli e carta, e intanto che la base dell'impasto si intiepidisce si prepara la crema con quattro uova sbattute, cinque cucchiai di sciroppo, tre cucchiai di burro fuso e un cucchiaino di estratto di vaniglia. Poi la si stende sulla pasta, disponendo due etti di gherigli di pecan, per poi rimettere tutto in forno per 25 o 30 minuti. Nella speranza che i cinesi abbiano lasciato qualcosa....