Un fotogramma di "The Newsroom"

Il business dei siti che ti spiegano se stai leggendo una cialtronata oppure una cara, vecchia notizia vera

Daniele Raineri

Il direttore editoriale di un sito specializzato nello smontare notizie false dice che la colpa non è dei social media, ma del livello dei media diventato troppo scarso

Roma. Considerato che le informazioni sono una merce utile di scambio e che come ogni merce utile possono essere di qualità eccellente o pessima – e quindi potreste pure dare retta al ministero siriano del Turismo che vi invita a visitare Aleppo, ma in realtà è ancora troppo presto per passarci le vacanze – ci sono siti che fanno affari combattendo contro la disinformazione, che in questo campo è la bassa qualità. Business Insider ha appena intervistato Brooke Binkowski, che è il direttore editoriale del sito gratuito in lingua inglese Snopes, uno dei più seguiti tra quelli dedicati a smontare le notizie finte e le cialtronate che girano in rete. Snopes esiste da vent’anni ed era nato con l’obiettivo di smentire – oppure confermare, quando c’erano le prove – le leggende metropolitane, ovvero quelle piccole fiabe contemporanee nate per colpire il nostro cervello e fare leva sulle nostre paure, tipo: è vero che alcuni piccoli esemplari di coccodrillo scaricati nel water da padroni poco sensibili oggi sopravvivono e vanno a caccia nella rete fognaria di New York? (risposta: no, non è vero).

In genere si trattava di storie e di fotografie, spesso modificate con il computer, febbrilmente scambiate via mail con gli amici negli anni che hanno preceduto l’avvento dei social media. Poi è arrivato Facebook, le leggende metropolitane hanno preso la forma di notizie politiche con una capacità di diffusione rapidissima e il potere di formare l’opinione pubblica e oggi Snopes ha una decina di dipendenti e si mantiene grazie al numero alto di visite e agli introiti pubblicitari – come i siti che spargono bufale, ma funziona all’opposto: attrae chi vuole capirci qualcosa. Binkowski dice che alcuni dei suoi reporter hanno scelto questo tipo di lavoro perché sono soltanto insofferenti alle inesattezze, e che altri, come lei, lo fanno per ideologia: “Credo che la luce del sole – a cui esporre le notizie – sia il miglior disinfettante possibile e credo nel potere della verità. In tutta onestà, la maggior parte delle bufale sono incredibilmente facili da smontare, perché sono ovviamente delle stronzate. Spesso i siti inseriscono un dettaglio inverosimile dentro il pezzo come per mettere le mani avanti e avvertire: questa è satira, non fateci causa”. Binkowski dice però che i social media non sono il problema, il problema è piuttosto il basso livello a cui sono scesi i media tradizionali. Il pubblico ha perso fiducia in loro e quindi ora vale tutto. Le ragioni per cui è successo sono familiari: il settore è diventato più duro, molte redazioni non hanno più le risorse per fare il lavoro nel modo giusto. “Quando sei alla quinta storia del giorno e non c’è più un caporedattore perché è stato licenziato e non c’è nessuno che fa fact-checking e quindi devi fare da solo su Google, finisci per scrivere idiozie”. Il vecchio Snopes assegnava alla leggenda metropolitana di turno un pallino verde, giallo o rosso a seconda del livello di credibilità. Oggi scompone la notizia, tipo “Ecco la mail che prova che Hillary Clinton forniva armi all’Isis”, e spiega con pazienza cosa c’è di vero e cosa no (nel caso preso in esempio: è un falso).

 

Ci sono poi siti più sofisticati, come l’inglese – ma ha collaboratori da tutto il mondo – Bellingcat, che raccoglie un seguito così largo da essere diventato protagonista di duelli a distanza con il ministero della Difesa russo a Mosca. Per esempio: il ministero mette su internet alcuni video di bombardamenti eseguiti in Siria contro lo Stato islamico e Bellingcat, grazie alle mappe satellitari a cui ormai possono accedere tutti, dimostra che gli aerei russi hanno invece bombardato altri posti in Siria, dove lo Stato islamico non è presente. Un altro esempio: grazie a un’analisi dei video e dei social media russi, (che sono frequentati anche dai soldati, e pure loro caricano foto su internet) Bellingcat ha trovato il sistema lanciamissili Buk su cingoli che nel luglio 2014 ha attraversato il confine con l’Ucraina, ha abbattuto l’aereo di linea MH17 con 298 passeggeri a bordo e poi è tornato in Russia – conclusioni che poi con metodi simili sono state confermate dalla commissione d’inchiesta olandese (come la maggior parte delle vittime) che si sta occupando del caso.

 

Le versioni alternative fornite dalla Russia, come per esempio la presenza di caccia ucraini, sono state smentite con metodo una dopo l’altra – anzi, come si dice nei titoli che impazzano su Facebook: “Sono state asfaltate”. Bellingcat è un sito a tendenza pedagogica, ovvero tende a insegnare ai lettori come verificare le notizie – dai primi passi base, come controllare l’autenticità di un’immagine con Google images (il motore di ricerca che ti dice se un’immagine che credevi nuova è invece risalente a un paio di anni fa e se, per esempio, la foto dell’attentato che tu credi fresca di pochi minuti non si riferisce a tutt’altro fatto) fino al marchio di fabbrica del sito, identificare la località di un sito grazie alle mappe satellitari e a pochi punti di riferimento. Che però resta senz’altro un’attività più noiosa rispetto a leggere: “Un editoriale del New York Times chiede di assassinare Donald Trump”. 

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)