Donald Trump (foto LaPresse)

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La lamentosa retorica di Aaron Sorkin, sotto choc per la vittoria di Trump

Mariarosa Mancuso
Lo sceneggiatore ha scritto alla ex moglie Julia e alla figlia Roxy, mandando copia della missiva a Vanity Fair. I giornali, i siti, le riviste di settore si domandano cosa cambierà con il nuovo presidente. Per esempio nei rapporti con la Cina, uno dei principali mercati hollywoodiani per quanto riguarda gli incassi. 

Scrivere alla figlia è cosa che può capitare. Scrivere alla ex moglie, per quanto uno sia rimasto in buoni rapporti, è più raro. Deve essere proprio accaduto qualcosa di terribile: non un guaio – per quello basta il telefono – ma una catastrofe. Tale è stata per Aaron Sorkin (sceneggiatore della serie “The West Wing” e “Newsroom”, tutto quel che può accadere alla Casa Bianca e tutto quel che può accadere nella redazione del telegiornale) la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali. Per questo ha scritto alla ex moglie Julia e alla figlia Roxy, mandando copia della missiva a Vanity Fair.

 



 

“Non ho saputo proteggervi”, confessa alle sue girls, mentre autorizza la quindicenne a usare la parola con la effe (quando ci vuole ci vuole, e comunque i siti e i giornali che riprendono la lettera dicono “qui sta l’originale, leggetela a vostro rischio e pericolo”). Scrive che il Ku Klux Klan ha vinto, sogna di avere indietro Richard Nixon. “Lettera commovente”, annuncia Vanity Fair. Tanto commovente che non pare scritta da Aaron Sorkin, o almeno dall’Aaron Sorkin che finora conoscevamo, poco incline al lamento e alla retorica. Dev’essere l’effetto Donald Trump, clamoroso anche nel discorso di addio e di rassicurazione pronunciato da Barack Obama. Quando ha detto “domani-comunque-il-sole sorgerà-ancora” dava l’impressione di aver licenziato lo speechwriter con un giorno di anticipo.

 

I commentatori politici e i sondaggisti cercano di rimediare alla magra figura (come se non fosse successa la stessa cosa pochi mesi fa con Brexit). I giornali, i siti, le riviste di settore – da Variety a Deadline, che al tempo di Fukushima calcolavano l’effetto del disastro sugli incassi – si domandano cosa cambierà con il nuovo presidente. Per esempio nei rapporti con la Cina, uno dei principali mercati hollywoodiani per quanto riguarda gli incassi. Nel film “Doctor Strange”, il guru tibetano del fumetto è diventato Tilda Swinton, per non spiacere agli spettatori con gli occhi a mandorla. E i cinesi hanno smesso di gestire le lavanderie, quando un astronauta americano rimane su Marte aiutano a tirarlo giù.

 

Fin qui, a Donald Trump la situazione dovrebbe andare benissimo. Gli dovrebbe andare meno bene il fatto che i cinesi ricchi – uno su tutti, Wang Jianlin con il suo colosso Wanda – invece di comprare il prodotto finito stanno acquistando le grandi major hollywoodiane che i film li fabbricano, e già che ci sono anche migliaia di sale cinematografiche sul suolo americano. Vorrebbero che i film si girassero in Cina, con mano d’opera locale, cosa che al miliardario protezionista dovrebbe spiacere parecchio. Magari vorrebbe vedere Hollywood sprofondare all’Inferno, con tutti gli intellettuali liberal che ci lavorano. Ma son comunque altri posti di lavoro che spariscono per via della globalizzazione.

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