La scena del banchetto del film "I fantastici viaggi di Gulliver"

Gli strani agnolotti che hanno fatto la storia e la politica (a Renzi è andata bene)

Mariarosa Mancuso
“L’histoire passe à table!” di Marion Godfroy e Xavier Dectot è una carrellata di cene che hanno fatto la storia. E di pietanze stravaganti. Ma la lettura è gustosa, accompagnata dalle ricette per rifare i piatti (noi comunque l’iguana in fricassea la sconsigliamo).

A Matteo Renzi ospite di Barack Obama è andata bene: agnolotti di patate dolci con burro e salvia, friarielli per contorno (pare, zappati e innaffiati nell’orto di Michelle Obama). La bizzarria nel menu della Casa Bianca era il “Pecorino di New York” sull’insalata di zucca e scarola. Parlando di cene ufficiali, andò peggio al primo ministro Jacques Chirac in visita nella Guyana francese, era il 1975. Il menu annunciava “Iguana in fricassea”, il forestiero fece in modo di farsela piacere. (Noi, che l’iguana si mangiasse, lo abbiamo scoperto leggendo “Serenata” di James Cain: due disperati la cucinavano innaffiandola con lo sherry in una chiesa messicana sconsacrata).

 

Raccontano l’iguana – assieme ad altri 49 celebri incontri mangerecci – Marion Godfroy e Xavier Dectot in “L’histoire passe à table!”. Esce da Payot, con Napoleone in copertina (ma al posto del cappello ha una composizione sotto gelatina). Firma le illustrazioni Lucille Clerc, disegnatrice francese che ora vive a Londra: dopo l’attentato alla redazione di Charlie Hebdo disegnò la matita spezzata che ri-appuntita a dovere dava origine a due matite.

 

“Cinquanta cene che hanno fatto la storia” promette il sottotitolo, esagerando. Ma la lettura è gustosa, accompagnata dalle ricette per rifare i piatti (noi comunque l’iguana la sconsigliamo). Meglio le uova mimosa che Elvis Presley preparò per i Beatles nel 1965. Priscilla Presley aveva raccontato l’incontro – non esistono immagini, sembra che Elvis fosse spaparanzato sul divano a guardare la tv senza audio quando i quattro si presentarono nella sua casa californiana. I segugi francesi hanno aggiunto il menu. Non è la prima volta che le uova entrano nell’aneddotica dei Fab Four: prima di chiamarsi “Yesterday” quel brano era canticchiato da Paul McCartney con le parole “scrambled eggs” nel ritornello.

 

I babà al rum allietarono duemila visitatori all’Expo di Parigi del 1900. Sul Titanic invece andavano forte gli éclair alla vaniglia (tornano nel film “La mafia uccide solo d’estate” di Pierfrancesco Filiberto in arte Pif, in versione palermitana quindi assai più ricca). Perché si mangia il tacchino nel Giorno del Ringraziamento? Per via di un banchetto del 1621, a tavola c’erano 50 passeggeri del Mayflower e cento indigeni. Non immaginavano le risse familiari che avrebbero accompagnato la ricorrenza, peggio del Natale. Dal tacchino passano anche le differenze di classe: nel film “I segreti di Brokeback Mountain” il taglio del trofeo ripieno di castagne viene fatto dai ricchi a mano libera, dai poveri con il coltello elettrico.

 

Indietro nei secoli aumenta la magnificenza. L’antipapa Felice V si deliziava con la Trimolette de Perdrix, raffinato salmì di pernici. Non ne esisteva una “versione vegetariana”, come garantiva il menu della Casa Bianca. Neanche una versione da mangiare durante le partite a carte, come pretese Lord Sandwich inventando il panino imbottito (Woody Allen in un racconto si diverte a immaginare i tentativi ed errori che condussero all’invenzione).

 

Godfroy & Dectot raccontano Benjamin Franklin che afferra gli asparagi con le mani, e Stalin che faceva preparare i cestini da picnic per Churchill (a Yalta, dove altro?). Di banchetto in banchetto, riprendono storie note come il pollo alla Marengo e la pesca Melba. Nello scaffale, lo abbiamo messo a fianco di “Fictitious Dishes”, il libro fotografico che ricostruisce i pasti dei personaggi letterari. Il tè del Cappellaio Matto, la zuppa di vongole dei marinai in “Moby Dick”, il porridge di Oliver Twist, il melone di Robinson Crusoe, l’ananas sciroppato diviso tra padre e figlio in “La strada” di Cormac McCarthy.

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