Charles Aznavour (foto LaPresse)

Dall'umorismo perfido di Edith Piaf all'artigianato musicale, parla Aznavour

Simona Voglino Levy
A 92 anni, dopo almeno 50 di successoni, il vecchio Charles è pronto, prontissimo per una nuova avventura: il tour mondiale che passa anche per l’Italia. Chiacchierata con il cantautore francese a Verona.

Milano. Non ditegli che è una star. Perché lui si sente un artigiano. 1.200 canzoni scritte in otto lingue e 180 milioni di dischi venduti. Nel mondo. Signore e signori, ecco a voi: Charles Aznavour. E pensare che i pronostici erano tutti contro di lui quando, giovanotto, iniziò ad affacciarsi al mondo dell’arte: troppo brutto, troppo basso, troppo povero. Anche la voce, non piaceva un granché. Ruvida, a qualcuno piacque definirla così. E invece. A 92 anni, dopo almeno 50 di successoni, il vecchio Charles è pronto, prontissimo per una nuova avventura: il tour mondiale che passa anche per l’Italia – una data soltanto, mercoledì 14 settembre all’Arena di Verona.

 



 

Stanco?, gli ha chiesto il Foglio prima che lo spettacolo iniziasse. “Gli altri lo sono”, chiosa il Maestro, minuto e vispo, dentro una giacca color carta da zucchero. Gli occhietti scuri, riparati da lenti fumè, gentile. Sorride: nel suo piccolo, un grande. Una carriera lunga una vita che, forse, un piccolo segreto ce l’ha: “Non nascondo mai niente al pubblico. Ho male hai denti? Glielo dico. Sono un uomo libero sul palco: dico quello che altri non oserebbero. Parlo anche di prostata o cellulite”, racconta divertito. Non ha paura di salire sulla scena, “ho smesso di averne quando ho capito che il pubblico veniva per me. Una volta sul palcoscenico, non bevo: né acqua né vino. Entro e esco asciutto”. Un nuovo disco in programma, anche se poi “ho sempre difficoltà a eliminare canzoni vecchie per farne entrare di nuove”.

 

L’infanzia è stata bella ma non semplice per lui. Figlio di una famiglia povera “ma non misera”, sottolinea. I genitori lo hanno sempre incoraggiato nell’assecondare le sue inclinazioni, senza però potergli regalare una grande istruzione: “Tutto quello che conosco l’ho imparato da solo. Quando incontrai Jean Cocteau (drammaturgo e scrittore francese, ndr), mi diede una lista di libri da leggere. Così iniziò il mio processo di apprendimento più accademico: arte, musica, letteratura. Fin da ragazzino volevo fare l’attore. Ero davvero appassionato, doravo cantare, ballare, recitare. I miei sono stati fantastici, erano artisti anche loro: ecco perché ho avuto la fortuna di crescere fra attori e cantanti. Mi hanno sempre incoraggiato, solo ricordandomi che avere successo come artista non è semplice”.

 

Marito di Ulla Throsell, accanto a lui da oltre 50 anni, padre di sei figli e, oggi, anche nonno. “Non è stato semplice far convivere la mia vita privata con il lavoro. Sono stato molto assente, sempre in giro per il mondo. Poi, invecchiando, i legami con i miei figli si sono rafforzati: siamo una famiglia davvero unita. Katia lavora con me, duetto con lei e canta nel coro. Nicholas pensa al mio management. Misha ha il suo lavoro e Seda vive felicemente in America. Sono un padre orgoglioso!”, racconta. “E poi Ulla è una madre fantastica. E’ stata la mia forza, senza voler mai apparire sotto la luce dei riflettori. Sono fortunato ad averla avuta. Mi ha sempre capito e ha accettato le pressioni date dal mio lavoro. So che per lei non è stato semplice. Si è sentita sola e questo è il motivo per il quale adoro averla in tour con me. Ma lei non ama viaggiare e passare la vita con la valigia”.

 

E se parliamo di donne, non si può non pensare a Edith Piaf, sua mentore e amica. “Le devo molto: la conobbi durante uno show radiofonico nel 1946. Rimasi con lei per otto anni. Ma eravamo solo amici. Mai amanti. Sono stato il suo segretario, il suo autista, il suo confidente. Mi portò con lei in tour. Com’era? Aveva un senso dell’umorismo davvero perfido. Era molto arguta. Ricordo che una volta andammo in America, tutti ci dicevano che avremmo dovuto vedere le Cascate del Niagara. Così andammo. Una volta lì, scese dalla macchina, le guardò e ci disse: ‘Tutto qui? E’ solo acqua che scorre!’. Tornammo subito indietro. Questa era Edith Piaf”.

 

Ma Charles Aznavour è un grande non solo per la sua musica. Di origine armene, il vero cognome è Aznavourian, è da sempre impegnato per la causa, anche se ora non ci si sofferma troppo: “Se ne parla già molto. Dal Papa alla Merkel. La Francia ha riconosciuto il genocidio e altri lo stanno facendo. Non sono il nemico dei turchi, chiedo solo la verità”. E poi il cinema: da Truffaut a Chabrol. “Ricevo ancora sceneggiature ma non ho più voglia, non ho abbastanza memoria. Mi hanno proposto un ruolo muto, quello lo accetterei volentieri”, dice ridendo. Dal grande al piccolo schermo, nonostante l’età, resta una persona curiosa e attenta: “Guardo molta tv, trovo lì i miei musicisti. Così faccio conoscenza con la nuova generazione. Non mi diverto a parlar male dei giovani: ce ne sono di straordinari”. D’altronde, ai tempi di Edith Piaf, poco più che ventenne, non avrebbe immaginato una carriera del genere: “Sarebbe stato pretenzioso. Ma la sognavo”. Infine, gli abbiamo chiesto se c’è ancora un sogno che vorrebbe realizzare. Non ha avuto dubbi: “Certo. Restare in salute e fare un grande concerto per i miei 100 anni”.