Contrordine, compagne! Il sessismo si batte smettendo di essere femmine

Simonetta Sciandivasci
La giornalista Jessica Bennet suggerisce alle ragazze di intravvedere il sessismo dentro di loro, fasciare quella sporgenza di sensualità che le rende drammaticamente femmine e comportarsi in conseguenza del fatto che gli affari si fanno in camicia, senza alcuna concessione all’emotività o alla grazia.

Roma. La prima regola del Fight Club Femminista è comportarsi come farebbe un maschio bianco non troppo brillante. E quindi: non chiedere mai scusa, non piagnucolare, non cedere all’emotività, maramaldeggiare, avere un volto imperturbabile. Essere molto bulle e per niente pupe, perché “la femminilità è il peggior nemico sul posto di lavoro”. Intorno al nuovo assioma della dura lotta al sessismo – ovvero disperdere ogni traccia di sensualità e femminilità – Jessica Bennett, giornalista che si occupa di gender & culture sul New York Times, ha costruito il suo “Fight Club Femminista – manuale di sopravvivenza all’ufficio (per posti di lavoro sessisti)”, che è arrivato negli scaffali delle librerie statunitensi in questi giorni, mentre il dibattito pubblico è infervorato dalla notizia dei venti milioni di dollari più tante scuse con cui la Fox News di Rupert Murdoch si appresterebbe a risarcire la giornalista Gretchen Carlson per le molestie sessuali subite da Roger Ailes, ex amministratore delegato dell’emittente. Faccenda, quest’ultima, di quella misoginia ordinaria, ormai prossima all’estinzione (l’entità delle spese legali che comporta è certamente uno dei fattori deterrenti) e quindi quasi innocua, che si ostina a individuare le radici del sessismo nelle molestie sessuali e nella mancanza di equità tra i salari femminili e quelli maschili.

 

Fenomeni, questi, cui Bennett dedica un paio di striminziti paragrafi, poiché a suo avviso la discriminazione sessuale più profonda e pericolosa, sul lavoro, germina e germoglia negli animi dei colleghi più progressisti, che si dichiarano femministi ma interrompono le colleghe durante le riunioni, le accusano di essere in premestruale quando si inalberano (chiamarle “Menstruhater” pare sia in voga), comunicano con loro facendo uso di espressioni da mister in panchina, regolano l’aria condizionata sulla base della temperatura maschile senza alcuna accortezza per la possibilità che in stanza con loro qualcuna potrebbe avere le caldane da menopausa/ ovulazione/ gravidanza. Del tutto incapaci di sabotarli, raggirarli e – per usare un’espressione da Fight Club – prenderli per le palle, le donne li tollerano o, peggio, li giustificano, riservando loro gentilezza, accoglienza e persino accondiscendenza.

 

In questo senso, secondo Bennet, il sessismo è il risultato di un meccanismo di complicità tra uomini e donne che può essere interrotto solo con un brusco passaggio dalla conoscenza del nemico alla conoscenza di sé. In altre parole, ciò che Bennett suggerisce alle ragazze è di intravvedere il sessismo dentro di loro, fasciare quella sporgenza di sensualità che le rende drammaticamente femmine (come la principessa Mulan si fasciò il seno per essere ammessa nell’esercito cinese) e comportarsi in conseguenza del fatto che gli affari si fanno in camicia, senza alcuna concessione all’emotività o alla grazia. Da attenta sparring partner di questa disciplina pugilistica, Bennett sa che la femminilità può anche essere un tiro mancino assai potente e non omette di ricordarlo alle sue lettrici. La femminilità come arma, quindi, ha ancora diritto di cittadinanza sulle scrivanie delle donne che vogliano lavorare senza essere discriminate, soprattutto se hanno l’obiettivo di ricoprire più della metà dei posti di potere, dal momento che un mondo governato dalle donne, secondo Bennett, sarebbe migliore (su Slate, Laura Kipnis fa notare che alla Grecia non è stata risparmiata alcuna durezza, sebbene la crisi dell’euro-zona sia stata gestita dalla signora Merkel).

 


Mulan è l'eroina dell'omonimo cartone animato della Disney. La ragazza si traveste da uomo per potersi arruolare nell'esercito cinese


 

Anziché chiedere pane e rose, il femminismo così imbarbarito e tramutato nella negazione di sé stesso – è bene sempre ricordare che nacque anche per far sì che le donne, alla parità, potessero arrivarci scosciate, emotive e in premestruale, non travestite da carri armati, visto anche che rivendicavano che la loro rivoluzione sarebbe stata la sola al mondo che non avrebbe sparso sangue, ma vita – vuole che le donne chiedano pane, whisky e campionato, così che il mondo possa finalmente allinearsi alla peggiore macchietta maschile.

Di più su questi argomenti: