Particolare della Madonna Sistina di Raffaello

Il Figlio

L'umano nell'uomo

Nicoletta Tiliacos
Pensando a mia madre e guardando gli occhi della Madonna Sistina e quelli, quasi più adulti dei suoi, del bambino che tiene accostato al volto, continuo a non capacitarmi dell’assoluta tranquillità con cui la grande novità – la cancellazione pianificata della madre per contratto – stia passando senza trovare una vera resistenza.

Una madre con in braccio il suo bambino ci guarda da cinquecento anni da un dipinto da Raffaello Sanzio: è la Madonna Sistina. L’opera, ha detto il grande scrittore russo Vasilij Grossman, che più di tutte, tra quelle considerate immortali, riesce a mostrarci l’“umano nell’uomo”. Quel quadro ci parla dell’indicibile, perché “c’è, in questa raffigurazione visiva dell’anima di una madre, qualcosa che la mente umana non riesce a cogliere”, e che tuttavia “riesce a farci battere il cuore con la sua straordinaria novità”. E’ “accompagnando con lo sguardo la Madonna Sistina”, conclude Grossman, che “continuiamo a credere che vita e libertà siano una cosa sola” (“Il bene sia con voi!”, Adelphi).

 

Mi capita da un po’ di tempo di ripensare con una partecipazione nuova a queste parole dell’autore di “Vita e destino”, uno dei libri più belli e importanti mai scritti sul totalitarismo. Grossman le dedicò alla Madonna Sistina dopo averla vista a Mosca nella primavera del 1955, quando la tela, rimasta inaccessibile al pubblico per dieci anni, venne esposta per un breve periodo, alla vigilia della sua restituzione alla pinacoteca di Dresda (dalla città tedesca le truppe sovietiche l’avevano prelevata dieci anni prima, quando il nazismo fu sconfitto, lì è tornata e si trova tuttora). Le parole di Grossman mi colpiscono in modo nuovo perché, nonostante una piccola riproduzione della Madonna Sistina sia sempre stata nella stanza di mia madre, mi è sembrato di averla vista davvero per la prima volta solo da che mamma è morta, un anno fa. C’entra anche il fatto che le cronache del Mondo Nuovo ci informano quotidianamente dell’avanzata costante di un fenomeno – o sarebbe meglio dire di un progetto? – che ormai si può definire, senza paura di esagerare, “cancellazione pianificata della madre”.

 

Non capita quasi mai di sentirla chiamare così. Ma come andrebbe altrimenti definita la maternità surrogata commissionata, per esempio, da uomini soli? Non parlo di coppie omosessuali (ci sono anche quelle, si sa, così come ci sono coppie eterosessuali che ricorrono a loro volta all’utero in affitto). Parlo proprio di uomini singoli eterosessuali, che vogliono risparmiarsi la seccatura di una relazione ma vogliono – pretendono – un figlio. Senza donne per sempre tra i piedi. E’ il caso di Cristiano Ronaldo, un esempio à la page, che pare stia meditando di fare il bis, dopo il bambino per cui si favoleggia abbia sborsato dieci milioni di dollari nel 2011. Sono i casi dei signori qualunque Steven Harris o Peter Gordon, stimati professionisti di New York o di Boston, dei quali ha scritto Marina Terragni nel suo recente pamphlet “Temporary Mother” (Vanda epublishing): “Entrambi i padri sanno bene che dovranno spiegare qualcosa ai bambini. Harris dice che Ben ha già cominciato a fargli domande su sua madre. ‘Io gli spiego che ci sono vari tipi di famiglie: con due padri, con due madri, con una madre e un padre, e anche con solo il padre. Mi pare che per ora la spiegazione gli basti’”. Tu non hai madre, figliolo caro, è andata così e non farti troppe domande, se puoi. Da dove vieni? Chi ti ha partorito? Chi ti ha tenuto dentro di sé per nove mesi? Ecco, diciamo che è stata impiegata una specie di stampante in 3D. Non chiamiamola madre. E’ qualcosa di molto più moderno e pulito: paghi, quella produce, stampa, consegna e addio per sempre.

 

Eppure, pensando a mia madre e guardando gli occhi della Madonna Sistina e quelli, quasi più adulti dei suoi, del bambino che tiene accostato al volto, continuo a non capacitarmi dell’assoluta tranquillità con cui la grande novità – la cancellazione pianificata della madre per contratto, sia esso stipulato da uomini soli, da uomini in coppia o da coppie etero – stia passando senza trovare una vera resistenza nelle coscienze ben temperate dalla modernità. Certo, è sempre in agguato l’accusa di omofobia, e non sia mai che affermare “l’utero in affitto è una tragedia” offenda chi non deve essere offeso. Ma c’è qualcosa in più e di peggio, nell’eccesso di pudore e nel silenzio sostanziale che circonda la faccenda, e che, tranne rarissime e individuali eccezioni (penso a Susanna Tamaro, che ne ha scritto sul Corriere della Sera) non risparmia né i (cosiddetti) progressisti né i (cosiddetti) conservatori e nemmeno la chiesa, progressista o conservatrice che sia. C’è una terribile cecità, nel fatto che nessuno sembra avere nulla da obiettare alla cancellazione pianificata della madre. Non si tratta solo di spiegare a Ben, che magari un giorno visiterà la pinacoteca di Dresda, quale arcaico e obsoleto legame rappresenti la Madonna Sistina di Raffaello.

 

Si tratta di ricordarsi quello che la filosofa Hannah Arendt (un’altra ebrea, come Vasilij Grossman) ha spiegato meglio di chiunque altro. E cioè che il rifiuto individualista della nascita – il rifiuto cioè di pensarsi in relazione con gli altri, il rifiuto di accettare di essere figli, prima di ogni altra cosa, e figli della madre che ci ha partoriti – è per eccellenza il terreno su cui alligna la mala pianta del totalitarismo. Grossman di certo non aveva letto la Arendt (non poteva, in Urss) ma anche lui sapeva che gli individui usciti dal nulla  non sono affatto più liberi ma più esposti alla sottomissione. Questo ha voluto dirci parlandoci della Madonna Sistina: in quella coppia, madre e figlio, c’è la radice di ogni libertà.

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