Rassegnarsi a convivere con la morte?

Redazione
Il fondamentalismo islamico e la pazzia dietro agli attentati dei lupi solitari: cosa possiamo, cosa non possiamo fare e cosa dobbiamo sperare.

Questa mattina, seduto in metropolitana, un po’ per gioco e un po’ per ansia, mi sono chiesto: chi ha il volto dell’attentatore? Chi potrebbe farsi esplodere o tirare fuori un coltello?
La capisco, stiamo vivendo una lunga estate del terrore. In poche settimane, dagli Stati Uniti all’Europa, abbiamo assistito a una serie impressionante di attacchi. L’ultimo a Monaco di Baviera. L’Isis, il folle, il veterano in lotta con la polizia, il disturbato che prende in prestito una causa politica o religiosa. La sintesi è brutale: la nostra società è sotto minaccia.
Guido Olimpio, Corriere della Sera, 23/7;

 

Sempre seduto in metropolitana, ho pensato che sarebbe ora di prendere in mano i fucili. Sarebbe ora di difendere con le armi i nostri territori contro l’Isis.
La capisco anche in questo caso, ma lei sta confondendo due problemi distinti, anche se connessi. C’è il totalitarismo e il fondamentalismo dell’Isis, o Is o Daesh (e mi scusi se qui generalizzo un po’) con insediamenti territoriali, ramificazioni e la sua propaganda, che si sviluppa in un mondo islamico carico di contraddizioni e divisioni. D’altra parte, si moltiplicano in Europa i radicali, i folli, gli antisistema, pronti a fare tanto male, che vivono tra di noi.

Andrea Riccardi, Corriere della Sera, 23/7;

 

Se ho capito bene, quelli che fanno gli attentati in Europa per lei sono solo dei pazzi? Ma guardi che rivendicano la loro fede, urlano «Allah Akbar» mentre sparano sulla folla. Mi sembra un atteggiamento da radical chic che dal suo lettino di Capalbio (ammesso che i radical chic vadano ancora a Capalbio) cerca di minimizzare la minaccia dell’Islam, riducendo tutto a una questione di follia.
Ma certo, non tutti i terroristi sono pazzi, ovviamente, ma qualsiasi pazzo oggi può ispirarsi all’Isis e improvvisarsi suo soldato. Una volta i matti pensavano di essere Napoleone, oggi pensano di essere l’Isis. Lo Stato islamico fornisce loro la copertura ideologica e l’incitamento ad agire. L’Isis è in grado di organizzare attentati complessi, ma è capace anche di accontentare chi vuole suicidarsi finendo in prima pagina.

Stefano Montefiori, Corriere della Sera, 17/7;

 

Ma chi lo dice che questi terroristi che uccidono in nome dell’Islam sono pazzi? Lei, guardando un uomo con un kalashnikov in mano, sa distinguere un pazzo da un sano di mente?
Questi i fatti: indagando per mesi sui foreign fighters, gli investigatori francesi hanno scoperto che il 10 per cento di chi è partito per la Siria o per l’Iraq è schizofrenico [4]; e nel rapporto annuale sul terrorismo in Europa che l’Europol ha presentato la scorsa settimana è scritto che circa il 35 per cento dei lupi solitari che hanno compiuto attacchi tra il 2000 e il 2015 aveva problemi di tipo psichiatrico.
Marco Bresolin, La Stampa 21/7;

 

Capisco, ma non può negare che qui c’entri la religione e il fondamentalismo islamico. E le rivendicazioni dell’Isis allora? Possibile che nessuno di questi terroristi avesse contatti diretti con membri o cellule dello Stato Islamico?
Certamente, un lupo solitario può essere un terrorista dormiente addestrato in Siria. Non tutti diventano combattenti al fronte, però. Chi non riesce a partire per il Medio Oriente può essere facilmente riciclato: sono i «lupi solitari» incoraggiati all’azione nei Paesi in cui si trovano. Ma può anche essere – ed è questa la minaccia più grave – un qualsiasi musulmano con problemi psichici, oppure depresso da un matrimonio finito male, oppure propenso all’assunzione di droghe, oppure perfettamente normale ma pieno di rabbia per le sue condizioni di vita, che trova nella ideologia apocalittica dell’Isis e nella sua propaganda multimediale una apparente via d’uscita. Senza ricevere ordini da Raqqa, che ha poi comunque interesse a etichettarlo e rivendicare l’attacco terroristico.

Franco Venturini, Corriere della Sera 17/7;

 

Spesso questi terroristi si islamizzano velocemente, va bene, ma sempre fondamentalisti islamici sono.
Qui non c’è un esercito di liberazione, guerriglieri che si organizzano, qui c’è un patologico culto di morte. La follia di Mohamed Lahouiaej Bouhlel, l’attentatore di Nizza, non è così diversa, almeno dal punto di vista fenomenologico, da quella di Andreas Lubitz, il pilota tedesco che si schianta sui Pirenei con un aereo pieno di passeggeri, o anche da quella di Anders Breivik che spara coi suoi fucili automatici nel corso di una festa politica a Utøya, o da quella di Omar Mateen che irrompe armato in un locale di Orlando e fa fuoco all’impazzata.

Christian Raimo, internazionale.it 15/7;

 

Troppo filosofico.
Le faccio esempio più comprensibile: Mohamed Bouhlel, l’uomo che si è lanciato con un Tir sulla folla a Nizza del 14 luglio: non andava mai in moschea, beveva alcol, era depresso e picchiava la moglie, il padre in Tunisia dice che era pazzo. Ma le autorità francesi hanno parlato di attentato islamista, e l’Isis lo ha rivendicato. Perché? Ho letto qualche giorno fa un’intervista all’orientalista francese Olivier Roy, che da tempo sostiene la tesi di una «islamizzazione del radicalismo»: secondo lui persone disadattate, nichiliste o squilibrate finiscono per abbracciare la causa jihadista perché «è oggi l’unica davvero radicale sul mercato», quella che garantisce il maggiore grado di rifiuto del mondo.

Stefano Montefiori, Corriere della Sera, 17/7;

 

Suvvia, messe così molte storie ricordano quelle degli assassini di massa americani.
Certo, il percorso di Mohamed Lahouaiej Bouhlel ricorda quello dei «mass shooter» statunitensi che per lungo tempo macerano nei propri tormenti, simulano una vita anonima e innocua. Poi all’improvviso una scintilla, una situazione contingente che accende la miccia e li trasforma in bombe. C’è un’evidente sovrapposizione tra le due realtà: la prima appartiene al privato, la seconda arriva quando scoprono l’impegno politico. In questa ultima veloce fase, il killer sceglie il movente che preferisce per giustificare la sua follia.
Coppola, Guido Olimpio, Corriere della Sera, 17/7;

 

Io forse ho studiato meno di lei, ma ricordo una frase di Cechov che fa: «Chiunque può superare una crisi: è il quotidiano che ti logora». Il ripetersi di attentati ha portato insicurezza, affanno, paura nelle nostre vite. E lei mi parla di rifiuto del mondo, dice che non dovremmo fare niente? Io credo che sia il momento di potenziare i nostri apparati militari e di intelligence. Guardi François Hollande, che ha deciso di schierare entro fine luglio 15mila riservisti, di portare a diecimila il numero di militari schierati a presidio di manifestazioni o eventi estivi.
Mai come questi giorni l’intelligence internazionale è sotto scacco. Perché le indagini sulla strage di Nizza hanno svelato che il piano del massacro veniva preparato da mesi, senza che le autorità francesi ne sapessero nulla. E la reazione delle autorità bavaresi invece di isolare il pericolo ha allargato le dimensioni del panico, trasmettendo allarmi crescenti e infondati, invitando una metropoli e una regione a barricarsi in casa. È stata una pessima prova. Ma il punto è che non esiste nessuna possibilità di prevenire i lupi solitari. D’altra parte negli Usa i lupi solitari (da Columbine in poi) esistono da un pezzo. È lo stesso fenomeno, l’unica differenza è che si presenta con abiti diversi e in questo caso l’abito è l’Islam.

Gianluca Di Feo, la Repubblica 23/7;

 

Però c’è l’esempio di Israele. Un’enorme attività di intelligence e un popolo perennemente in armi. Servizio militare obbligatorio di tre anni (un anno per le donne), con richiamo per tutti ogni anno, fino a che non si sono compiuti 50 anni. In altri termini: una mobilitazione generale continua.

È vero, è un sistema molto efficace. Non si azzera il rischio, ma lo si contiene. Loro accettano in pieno questo sistema militarizzato perché si sentono e sono assediati da un pezzo e sanno che c’è almeno un paese, l’Iran, che dichiara ufficialmente di volerli annientare. Noi non abbiamo questa consapevolezza e nonostante tutto ci sentiamo sicuri, parendoci impossibile che casi come quelli di Nizza capitino proprio a noi.

Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 16/7;

 

C’è però il caso della Gran Bretagna, che in passato fu bersaglio anche di un terrorismo diffuso, dove sono stati investiti oltre due miliardi di sterline per l’intelligence e la prevenzione: in pratica per pagare centinaia di infiltrati e attirare nella rete i candidati al jihadismo. Chiaro che questa non è una garanzia assoluta di successo ma limita la possibilità di attentati, come dimostra Londra.

Bisogna però dirlo con franchezza: il terrorismo è una tecnica di combattimento prima ancora che un’ideologia mortale che non può essere sconfitto in maniera definitiva. Non ci sono realistiche possibilità di cancellare il pericolo di subire attentati come la quello di Nizza o di Monaco o del giovane immigrato che ha attaccato all’arma bianca i passeggeri di un treno in Baviera. Alberto Negri, Il Sole 24 Ore 23/7;

 

Dovremmo quindi abituarci a convivere con la possibilità di essere ammazzati in una qualunque sera in un qualunque ristorante?
Esattamente come ci siamo abituati all’idea che ogni anno, nell’indifferenza generale, muoiano in macchina 3-4.000 persone.

Fidiamo nel fatto che la ripetitività del massacro gli tolga forza mediatica, quindi significato. Come tutti i fenomeni di moda, verrà a sbiadire anche questo.

Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 16/7;

 

Tutto qui? Io rimango convinto che serva più vigilanza, più poliziotti nei quartieri, più attenzione ai siti internet che arruolano i disperati, più telecamere, più sermoni in italiano nelle moschee, più controlli sui barconi...
Tutto vero. Tutto giusto. Ma più ancora è importante avere la consapevolezza, vigile ma non isterica, che può accadere anche da noi. Ed essere, tutti noi, più presenti. Fare finta che possa capitare solo agli altri non è solo inutile, è autolesionista.

Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 23/7.

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