La risposta al vuoto pneumatico del pensiero? L'inesistente Italian Thought
Buon professore di Filosofia (ma non so fino a che punto) Roberto Esposito, nel suo ultimo libro “Da fuori. Una filosofia per l’Europa” (Einaudi, 238 pp., 22 euro) tenta di dare al nuovo, nuovissimo Pensiero Italiano, o Italian Thought, un primato di assoluta attualità per la debole e divisa Europa di oggi. Sarebbe il Pensiero Italiano, secondo lui, quello cioè degli ultimi anni, a presentarsi come l’interprete più adeguato della presente realtà europea. L’Europa, si legge nell’introduzione, è “separata da se stessa” e “appare priva, oltre che di un corpo riconoscibile, anche dell’anima”. Come rimediare a questo vuoto che la minaccia di dissoluzione? Il rimedio è la Biopolitica in versione italiana, come Italian Thought. Uso le maiuscole non solo perché spesso le usa Esposito per enfatizzare i suoi schemi e le sue soluzioni, ma perché tutto l’andamento, o meglio tutta la costruzione del suo libro, è di tipo enfatico. Esposito gioca usando tre carte: la German Philosophy (da Husserl e Heidegger a Horkheimer, Adorno, Marcuse, Arendt, Habermas), la French Theory (Derrida, Foucault, Deleuze, Lyotard, Baudrillard) e infine, un po’ a sorpresa, la vera sorpresa: l’Italian Thought.
Dopo aver segnalato con una certa professorale disinvoltura gli insuperabili ma anche superati, cioè invecchiati, limiti interni delle prime due carte, la tedesca e la francese, Esposito gioca la carta risolutiva, la carta italiana, quella oggi vincente. Lo scopo di questo libro, spesso inutilmente farcito, data la sua sostanziale elementarità di intenzioni e di schemi, è uno scopo di politica filosofica autopromozionale. Data per superata la cultura filosofica delle altre due temibilissime potenze continentali, Germania e Francia (dov’è la filosofia inglese?), ora sarebbe arrivato il momento dell’Italia. E’ suonata l’ora del nostro primato. Ho parlato di tre carte: carta vince, carta perde. Con una certa astuzia, diciamo pure da “mercato filosofico”, Esposito manovra facili etichette. Comunque, finché fa i suoi riassunti della German Philosophy e della French Theory, il lettore appena un po’ informato ha l’impressione di trovarsi tra le mani dei buoni riassunti. Ma a me sembrano un po’ carenti – stavo per dire – anche dal punto di vista scolastico: no invece, sono carenti perché scolastici, dato che fare oggi, per esempio, la lezione ad Adorno sembra facile, ma è indecente.
La French Theory, scivolosa come sapone quale sempre è stata per la povertà dei suoi contenuti e l’abbondanza “rococò” dei suoi apparati retorici (il teatro della Scrittura!), non ha neppure bisogno di essere riassunta, si può solo descriverla come una ininterrotta, verbosissima rincorsa “à bout de souffle” di significati sempre sfuggenti perché sempre spostati oltre: una serie di trovate e invenzioni più terminologiche che concettuali, incantatorie come mantra. Si arriva infine allo scopo del libro di Esposito, al prodotto italiano che oggi fuori della penisola si vende meglio, dal Brasile alla California, da Madrid a Istanbul. E’ l’Italian Thought, oggetto più misterioso che sorprendente. Un vero pasticcio filosofico-politico, circoscrivendo il quale Esposito smette di essere il buon professore di filosofia che è, preso qui da un’ovvia, evidente smania di etichettare brillantemente, unitariamente una serie di conati filosofici italiani di dubbia consistenza, quando più quando meno.
Ecco gli autori in ordine di età: Mario Tronti, Toni Negri, Giorgio Agamben, Massimo Cacciari, Esposito stesso, portabandiera, coordinatore e ora propagandista. Che cos’hanno in comune e di così prezioso per l’Europa, un’Europa “vista da fuori”, questi filosofi? Secondo Esposito hanno di comune e di ottimo due cose: la Biopolitica (che viene da Foucault) e il fatto di essere italiani schietti, eredi di Machiavelli, Vico, Vincenzo Cuoco, Croce, Gentile, Gramsci… Insomma: biopolitici “comme il faut” (viaggiano internazionalmente ad alta velocità su binari costruiti dalla French Theory) e insieme ricchi, più dei tedeschi e dei francesi, di senso della storia e della politica, cioè (secondo Esposito) nemici delle astrazioni. Questo è un po’ troppo. Non so definire Esposito. Ma certo è che Tronti, Negri, Agamben e Cacciari, anche se impugnano un’indefinita biopolitica come paletta segnaletica (“qui si parla di nuda vita e di vera morte!”) sono piuttosto metafisici, o neometafisici, o metafisici impropri, nel senso che la loro politica slitta sempre in ontologia, in discorso sull’Essere. Chi non li ha letti li legga. Almeno li assaggi. Ma, per favore, senza pregiudiziale rispetto e senza farsi impressionare dalle formule incomprensibili.
L’“operaismo” italiano anni Sessanta, prima tappa, secondo Esposito, dell’Italian Thought, era un’ontologia della purezza o nudità operaia, immune dalla cultura e perfino dalla vita sociale. Una teoria priva di contenuto empirico, una deduzione gentiliana da Marx: la classe operaia come “atto” anticapitalistico per definizione, quindi aprioristicamente vittorioso. Di storico e di politico lì non c’era niente, se non una perentorietà gestuale. Da allora, l’ontologia operaistica di Tronti, nella sconfitta o tramonto storico della classe operaia, si è rivelata senza pudori come attesa mistica, in stile san Giovanni della Croce. In Negri la dissoluzione della classe operaia classica è vista come un incremento planetario delle potenzialità eversive, liberatorie di un “essere sociale” indiscriminato, illimitato e senza forma: nell’ultima pagina del suo bestseller “Impero”, Negri, pensando ai suoi black bloc, scopre anche san Francesco.
Di Cacciari non si sa che dire: fagocita e trita di tutto, parafrasa (ahimè creativamente) qualunque filosofo abbia letto, Platone, Tommaso d’Aquino, Nietzsche, Wittgenstein… E’ apertamente attratto dalla metafisica, che lo attrae perché “pensiero superiore” per uomini superiori, un discorso sull’Inizio e sulle Cose ultime, cioè sull’indicibile e l’inconcepibile. Meglio il Cacciari televisivo. Agamben, il più filologicamente filosofo, è anche il più consapevolmente, originariamente mistico e teologico: con le parole con cui si parlava di Dio, evoca una sempre possibile apocatastasi politica, o reintegrazione finale di tutto l’esistente nel sacro essere di una comunità senza attributi. Che cosa ci sia di particolarmente italiano in questo Italian Thought, non credo che lo sappia nemmeno Esposito. Forse lo immagina: ma nel confronto con Machiavelli e Vico e Cuoco e Leopardi e Gramsci, il rapporto è assente. C’è molto Gentile, molto Heidegger, molto Carl Schmitt. Poca concretezza storica e poca politica, se non fantastica. Quanto alla vita, se ne sente un vago odore nell’abuso del prefisso “bio”.
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