L'occidente è libertà di fede o non è

Pasquale Annicchino
S’avanzano teorie postmoderniste per cui Europa e America, non concependo più davvero la religione, tanto meno possono difendere nel mondo minoranze e libertà religiosa. Una confutazione esistenziale.

Nella Genesi (4,9) a un tratto Dio si rivolge a Caino e gli chiede “Dov’è tuo fratello Abele?”. Lui risponde: “Non lo so, sono forse il guardiano di mio fratello?”. E’ la stessa domanda che dovremmo rivolgerci noi oggi davanti alle persecuzioni che affliggono minoranze di tutte le fedi in numerose parti del mondo. Non credo serva, o sia utile, motivare ulteriormente l’evidenza di tale carneficina. Eppure c’è chi non la pensa così. Assume infatti sempre maggiore forza tra gli intellettuali la posizione di chi pensa che la dimensione religiosa dei conflitti sia in realtà solo una maschera del potere, un fattore assolutamente incapace di spiegare quanto accade, un inutile insistere su qualcosa che non si può nemmeno definire. Il ragionamento funziona più o meno così: se non sappiamo cosa è la religione, come possiamo pretendere di difendere il diritto di libertà religiosa o eventuali minoranze religiose da persecuzioni in atto nei loro confronti? E’ quella che, sulla scorta delle riflessioni di Winnifred Sullivan, è stata definita la teoria dell’“impossibilità della libertà religiosa”.

 

Le teorie decostruzioniste e postmoderniste provano dunque a “smascherare” il potere che si nasconde dietro alle politiche statunitensi ed europee per la promozione del diritto di libertà religiosa. Chi voglia approfondire può leggere due libri recenti pubblicati da Princeton University Press e scritti dalle professoresse Elizabeth Shakman Hurd della Northwestern University  (“The New Global Politics of Religion”) e Saba Mahmood dell’Università di Berkeley (“Religious Difference in a Secular Age: A Minority Report”). Quanto sia problematico questo approccio lo ha sottolineato di recente Daniel Philpott, docente presso l’Università di Notre Dame, che ha recensito i due volumi. Che succede se si rifiuta l’universalismo dei diritti e si cade nella trappola del tutto è potere quindi tutto è relativo?, si chiede Philpott. Che succede se si afferma che non si deve intervenire, o provare a influenzare l’approccio a questi temi di alcuni stati, in nome dell’antimperialismo militante?

 

Succede, a mio avviso, che così facendo si giunge all’assurda conclusione che sarebbe meglio non far nulla quando qualcuno viene arso vivo (ancora ieri il caso di una donna cristiana in Bangladesh) o impiccato per la sua fede. Non si può negare la politicizzazione delle azioni per la promozione dei diritti umani, della libertà religiosa così come di ogni altro diritto. Allo stesso modo devono sottolinearsi le incoerenze di alcuni stati occidentali nel perseguimento di queste politiche, basti pensare allo scabroso rapporto tra gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita. Nel legno storto dell’umanità si può però pensare e sperare di offrire un contributo minimalista e costruttivo nella consapevolezza che contro le persecuzioni religiose è meglio mettere insieme quel poco che il mondo occidentale può fare: gli sforzi del Dipartimento di stato americano, quelli del Servizio diplomatico europeo o della Farnesina.

 

Ricordate Meriam Ibrahim costretta a partorire in carcere perché convertitasi e poi sottratta ai suo carnefici grazie all’impegno del governo italiano che  se l’è andata a prendere in Sudan con un aereo di stato? Se non definiamo la nostra civiltà sull’impossibilità di giustificare la persecuzione e l’uccisione di un essere umano per quello in cui crede, cosa resta in piedi? Se anche tale verità autoevidente è negata in nome del decostruzionismo postmoderno e dello “smascheramento del potere”, possiamo pensare di dare nuova linfa al pensiero dell’occidente solo con la libertà di dire “ognuno faccia come vuole”? Nella posizione di Caino, quando un uomo, qualunque sia la sua religione, viene crocifisso, pestato,  la sua casa saccheggiata, dovremmo poter dire: “Sì, sono il guardiano di mio fratello”. Fare altrimenti sarebbe solo l’ennesima conferma della bancarotta intellettuale della società occidentale.

 

 

L'autore ha appena pubblicato "A Transatlantic Partnership on International Religious Freedom? The United States, Europe and the Challenge of Religious Persecution", Oxford Journal of Law and Religion, 5 (2),  2016, pp. 280-297