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Via i maschi bianchi dalle pareti, Oxford reinventa il suo passato con venticinque ritratti multiculturalmente corretti

Antonio Gurrado
L'università ha pubblicato un bando per commissionare decine di ritratti di oxoniani viventi che testimonino maggiore “diversità” nell’ateneo

A Oxford non riescono a liberarsi dei fantasmi del futuro: per questo non reggono lo sguardo dei grandi del passato. E’ tradizione che dai muri dei college pendano ritratti di alunni celebri o munifici benefattori, a imperitura memoria; la storia ha voluto che diventassero famosi o ricchi per lo più maschi bianchi, un po’ agé e dall’aria per niente trasgressiva. Se una matricola – donna magari, nera, omosessuale – accetta che la storia è continua evoluzione e il futuro riserva novità, può accettare questi ritratti come sedimento del passato e affrontare l’avvenire confidando in un ruolo da protagonista. Se ritiene invece che il futuro sia il tribunale in cui il passato verrà processato da giudici anacronistici, dalle tele ode la minaccia: “Non riuscirai mai a diventare famosa o ricca come noi”. A Oxford il futuro è un problema, altrimenti l’Università non avrebbe deciso di commissionare venticinque ritratti di oxoniani viventi che testimonino maggiore “diversità” nell’ateneo, da proporre su iniziativa popolare e selezionare presso l’Equality and Diversity Unit.

 

Nella miglior tradizione dell’accademia inglese, le categorie non vengono esplicitate ma leggendo fra le righe del bando, scaduto ieri, si coglie la smania di immortalare donne, neri, omosessuali per controbilanciare secoli di ritratti “male, pale and stale” – maschi, bianchi e vecchi. In un anno accademico dominato dalla polemica sulla rimozione della statua del colonialista Cecil Rhodes dall’Oriel College, quest’iniziativa appare un contentino. Di là da ingiustificati allarmismi sul rimpiazzo di vecchi visi con facce fresche (secondo il Daily Mail il ritratto di Jonathan Swift avrebbe potuto essere sostituito da quello di Naomi Wolf), va segnalato che uno dei college più impegnati per la diversità ritrattistica è il Wadham. Fondato nel Seicento da latifondisti, si è appena dotato di un ritratto di Amelia Gentleman, giornalista del Guardian e cognata di Boris Johnson; lo Spectator ne ha dedotto che a Oxford “diversità” significa sostituire a ritratti di maschi bianchi benestanti ritratti di donne bianche benestanti. Non è del tutto vero.

 

Sorprende infatti che l’entusiasmo abbia accecato minoranze ignare di essere già rappresentate nei college: al Lady Margaret Hall si mangia sotto la nobile fondatrice; al Somerville campeggiano un ritratto dell’eponima, autodidatta del primo Ottocento, e un busto della Thatcher; al St Hugh’s è immortalata Aung San Suu Kyi. L’Università stessa sottolinea che al Balliol si vede Ved Mehta, romanziere indiano vivente, e all’All Souls Hugh Springer, giurisperito delle Barbados. Né manca un ritratto di Lucy Banda Sichone, attivista zambiana che, ironia della sorte, beneficiò della borsa di studio Rhodes. E se il futuro remoto li spaventa, possono stare tranquilli anche gli animalisti: il St Edmund Hall (per gli amici, Teddy Hall) ha riattato la cappella in biblioteca ritraendo su un gargoyle il letterato reverendo Graham Midgley; poiché questi era seguito da un inseparabile labrador, è stato ritratto in un gargoyle anche il cane. Entrambi indossano il collare.

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