Ursula Andress in "007 - Licenza di uccidere"

Settant'anni di bikini, la "bomba an-atomica" che sconvolse i benpensanti

Mauro Zanon

E' stato il capo di abbigliamento che più di qualunque altro ha cambiato i costumi occidentali. Da Micheline Bernardini, a Ursula Andress, fino a Brigitte Bardot. Storia di un mito che spaventò religiosi e dittatori.

Parigi. Era il 5 luglio del 1946, quando una diciannovenne di Colmar passò alla storia per aver indossato il primo bikini. Si chiamava Micheline Bernardini, era una danseuse concupita del Casino de Paris, che mostrava disinibita il suo ombelico, aveva lo sguardo maliardo, le forme di una femme liberée e il sorriso di un mondo che si stava avviando verso la più grande rivoluzione dei costumi del Novecento. Compie oggi settant’anni il due pezzi simbolo dell’emancipazione femminile e della malizia, e allora buon compleanno, anzi joyeux anniversaire, dato che il bikini nacque in Francia, nella leggendaria piscina Molitor di Parigi, per merito di un sarto originario di Lille. Il suo nome era Louis Réard, che la giornalista Ghislaine Rayer, ha recentemente raccontato nel saggio “Bikini, la légende”, e che oggi tutto il mondo omaggia per quella deliziosa creazione. Il bikini nacque da una constatazione: le donne sollevavano il loro costume per abbronzarsi meglio. E così quel giovanotto di Lille che aveva mosso i primi passi nelle fabbriche Peugeot, lavorando come ingegnere, o meglio “styliste de lignes” alla ricerca di forme seducenti per i nuovi modelli automobilistici del dopoguerra, si adoperò, dopo essere sbarcato a Parigi, per esaltare le linee delle parisiennes (nella capitale francese, era il proprietario di un negozio di lingerie, “Les Folies Bergères”).

 

Il bikini era la “nuova bomba an-atomica”, secondo la formula del suo ideatore, il suo nome derivava dalla bomba che esplose sull’atollo Bikini, nelle Isole Marshall, a seguito di alcuni esperimenti nucleari americani, ma a esplodere erano anzitutto i corpi, per la gioia del pubblico maschile, nonostante i numerosi ostacoli e provvedimenti censori di cui il bikini fu vittima (“Il costume più piccolo del mondo”, alla sua prima uscita pubblica, scandalizzò il Vaticano, la società conservatrice americana e, ancor di più, il generale Franco che lo considerava indecente e peccaminoso e ordinò ai membri della Guardia Civil di schiaffeggiare tutte le donne che osavano indossare il due pezzi sulle spiagge iberiche). L’epopea del bikini, come accennato, ebbe inizio nella mitica piscina Molitor, situata nel sedicesimo arrondissement della capitale francese, un tempo luogo di divertimento e di incontri tra persone di ogni estrazione sociale, ma da due anni a questa parte, dopo l’ennesima riapertura, circolo chic per pochi eletti (capolavoro in stile art-déco, fu inaugurata nel 1929 da Johnny Weissmuller, campione olimpionico di nuoto, ma anche celebre per il ruolo di Tarzan nell’omonimo film).

 


 


Era il giorno della Fête de l’eau, un evento di moda balneare, e tra le candidate al premio di bagnante più bella, c’era anche la splendida Michelle Bernardini, selezionata da Réard per mostrare al pubblico la sua nuova creazione, il bikini appunto. Ma il due pezzi dovette aspettare quasi quindici anni prima di ottenere un successo mondiale. Fu il cinema a sdoganarlo universalmente e a lanciarlo come icona della moda. Come racconta Rayer nel suo libro dedicato a Réard, fu Ursula Andress, la Bond Girl “Agente 007 - Licenza di uccidere” (1962), quando esce dall’acqua con un bikini color panna, a cambiare l’immagine del costume: “Si tratta di una scena mitica perché fa cadere il codice della censura negli Stati Uniti, e perché offre una nuova immagine della donna.

 

Per la prima volta, il bikini non è indossato da una pin-up, in un concorso di miss, da una starlette che promuove un prodotto, ma da una donna indipendente e sportiva. In questo film, Ursula Andress ha un mestiere, è etnologa. Non è più un mero strumento per mettere in valore l’uomo”. Con lei, negli anni Sessanta, il bikini diventa popolare, a Parigi Dalida canta “Itsi bitsi, petit bikini”, ma la prima francese a indossarlo al cinema fu Brigitte Bardot in “Manina, the girl in the bikini” (1953). Lungo la Croisette, una BB giovanissima, scandalosa e conquistatrice esibisce la nuova stoffa del desiderio che Réard aveva lanciato a Parigi, ma che in Costa Azzurra, tra Nizza, Cannes e Saint-Tropez trova la sua consacrazione. Venne “Et Dieu créa la femme” (1956), ancora con Brigitte Bardot, venne Stefania Sandrelli in “Divorzio all’italiana” (1961), Sue Lyon in “Lolita” di Stanley Kubrick (1962), Annette Funicello in “Beach Party” (1963), venne il bikini color verde mela di Raquel Welch in “Fathom, bella, intrepida e spia” (1967), vennero le sperimentazioni degli anni Settanta e Ottanta, con i bikini sempre più mini, prima degli anni Novanta, quando il due pezzi di Réard divenne il capo da spiaggia per eccellenza.