The Tunnel

Se volete sapere come sarà l'Europa post-Brexit, guardate "The Tunnel"

Gianmaria Tammaro
Prima serie tv bilingue per Sky e Canal+. Un poliziotto inglese e una francese che indagano su terroristi e attentati. Sullo sfondo i grandi temi: xenofobia, co-operazione tra paesi e violenza. In primo piano, i microcosmi di due personaggi da romanzo giallo. Lei bellissima e frigida, lui piacione e very british.

Nella prima stagione, l'ispettore Karl Roebuck e il capitano Elise Wassermann indagano su un serial killer che si fa chiamare “il Terrorista della Verità”; nella seconda, devono scoprire chi si cela dietro un attentato aereo.

 

The Tunnel, serie tv co-prodotta da Sky e da Canal+, si ispira a The Bridge, ma è, allo stesso tempo, diversa: qui siamo tra Francia e Regno Unito; il nome viene dal tunnel sotto lo Stretto della Manica, e i protagonisti sono un poliziotto inglese e una francese. Il primo, interpretato da Stephen Dillane, già visto nei panni di Re Stannis nel Trono di Spade, è un uomo estroverso, divertente, con un debole per le belle donne e la battuta facile (cambierà, alla fine della prima stagione: la tragedia, come in Seven di David Fincher, è in agguato dietro l'angolo). La seconda, invece, ha la faccia e la voce di Clémence Poésy, attrice e modella francese, che qui deve fare la parte della stronzetta puntigliosa: una via di mezzo, caratterialmente, tra lo Sherlock Holmes di Benedict Cumberbatch e la protagonista di The Bridge. Un amore.

 



 

Il risultato è un crime compatto, che gioca con la suspense, l’ansia e i sentimenti dello spettatore (che cosa fareste, voi, al posto dei protagonisti?). La seconda stagione è cominciata da pochissimo: siamo alla seconda puntata, il capitano Elise è diventato comandante e l’ispettore Roebuck, dopo una pausa, è tornato nella polizia criminale. In primo piano ci sono i grandi – i grandissimi, anzi – temi attuali: integrazione, co-operazione tra paesi europei (ora ex), terrorismo, xenofobia, e la violenza. È il primo esperimento bilingue per Sky: i protagonisti, infatti, parlano sia in inglese (per la maggior parte) che in francese.

 

C’è solo una trama orizzontale, onnipresente, che va dal primo all’ultimo episodio (nella prima stagione sono dieci; nella seconda, di meno: otto). Il resto è fatto di interazioni e incontri tra i personaggi, il rapporto padre-figlia tra l’ispettore e la comandante francese; i tira-e-molla sullo sfondo, dei cattivi o dei buoni, che parlano, indagano o si fanno la guerra tra loro. Poi ci sono i due paesi, la Francia e l’Inghilterra, amici e nemici, che collaborano, si aiutano, che si nascondono le cose – indizi, segreti, piste – a vicenda e che sembrano giocare a chi arriva prima (chi indovina per primo il colpevole? Chi lo arresta? Come ci dividiamo competenze e giurisdizione?).

Come molti polizieschi, anche The Tunnel lascia tutto nelle mani dei suoi attori e della scrittura. I due protagonisti, in particolare, hanno un background definito, una caratterizzazione profonda e riconoscibile, e vivono – perché vivono – una vita propria, di cui vogliamo sapere ogni cosa (di Roebuck, vogliamo sapere della famiglia, dei figli, della moglie giovanissima; di Elise ci interessa la vita privata, il sesso occasionale e come cura i propri rapporti personali).

Dicono che le serie tv siano la “nuova letteratura”. Ora, vero o falso che sia, condivisibile o meno che possa sembrare, The Tunnel rappresenta la prova che il seriale – lo stesso di cui parlava Umberto Eco, analizzandolo ed identificandolo chiaramente – ha un potenziale infinito: come mezzo, sicuramente; ma pure come linguaggio: più vicino e avvicinabile della scrittura, meno opportunistico del cinema. Non urliamo al capolavoro, ma questa serie tv anglo-francese merita (come tante altre, del resto) d’essere vista; e la speranza è che arrivi presto anche in Italia. Sentito, mamma Sky?

Di più su questi argomenti: