Una momento delle prove di “Le nozze di Figaro” che andrà in scena a Spoleto da questa sera (© Fondazione Festival dei Due Mondi ONLUS/foto ML Antonelli/AGF)

Il nuovo inizio di Mozart

Mario Leone
Personaggi unici e melodie perfette. Con “Le nozze di Figaro” Amadeus insegna il perdono che riapre la partita e fa ricominciare tutto. Da oggi in scena a Spoleto.

Da oggi a domenica al Festival dei 2mondi – Da questa sera sino a domenica 26, nell’ambito del Festival dei 2mondi di Spoleto, vanno in scena “Le nozze di Figaro”, opera di Wolfgang Amadeus Mozart su libretto di Lorenzo Da Ponte. La regia è curata da Giorgio Ferrara (direttore artistico di tutto il Festival), le scene da Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, i costumi da Maurizio Galante. L’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini e l’International Opera Choir saranno diretti da James Conlon. Tra gli interpreti principali Alessandro Luongo nel ruolo del Conte di Almaviva, Davinia Rodriguez nel ruolo della Contessa di Almaviva,  Daniel Giulianini in quello di Figaro e Lucia Cesaroni in quello di Susanna.

 

 


 

 

Figaro e il Conte di Almaviva, Susanna e Cherubino. La lotta di classe, l’aristocrazia giocata e sconfitta dalla servitù. Gli ideali della Rivoluzione Francese che circolano sempre più insistenti. Possibile ridurre la commedia umana per antonomasia a un manifesto sociale di vittoria sul potere da parte del debole? “Le nozze di Figaro”, un’opera la cui genesi e le cui vicende legate alla censura son state messe a fuoco da Piero Buscaroli nel volume “La morte di Mozart” (Edizioni Bur), sono soltanto l’inizio dell’eccellente collaborazione tra il compositore e il letterato, Mozart e Da Ponte. I due consegnano alla storia una trilogia che, inaugurata dalle avventure del servo Figaro, prosegue con il dissoluto cavaliere Don Giovanni e si conclude con i giovani ufficiali Ferrando e Guglielmo del “Così fan tutte”. Tre opere strettamente connesse, specchio del rapporto tra Mozart e Da Ponte. Nel lavoro con i librettisti il genio di Salisburgo pretende un controllo pressoché totale. “La poesia deve essere serva obbediente della musica”. Un’affermazione che la dice lunga sulle idee e sulle difficoltà che il compositore ha nel rintracciare un libretto, a parer suo, degno della musica che vi comporrà. Ne visionerà centinaia prima di propendere per quello di Lorenzo Da Ponte, tratto dal romanzo “Le mariage de Figaro” di Beaumarchais (autore, quest’ultimo, della trilogia di Figaro: “Il barbiere di Siviglia”, “Le nozze di Figaro” e “La madre colpevole”).

 



 

In un lavoro durato dall’ottobre del 1785 all’aprile del 1786 Mozart ci dona un’opera buffa connotata da leggerezza, velocità, luminosità (grazie al parco utilizzo di tonalità minori) e situazioni al limite del parossismo ma anche da ambiguità e finzione, dove i confini tra vero e verosimile sono talmente impercettibili da essere spesso inafferrabili. In questo contesto si muovono personaggi memorabili incisi nella drammaturgia, nell’unicità psicologica e nella singolare connotazione musicale ampliata grazie all’impiego di una grande varietà di forme musicali, allo stesso tempo utilizzate e reinventate. Esemplare, in questo senso, l’uso della forma sonata la cui logica è estesa al teatro musicale attraverso un gioco di tensione/distensione (omologo del rapporto tonica/dominante) reso attraverso una macrostruttura tonale così pensata: re maggiore agli estremi (Ouverture e Finale IV Atto); Finale del II atto (940 battute, per la prima volta nella storia del melodramma, tutti i personaggi cantano in scena in un monumentale montare musicale) punto di massimo allontanamento e apogeo della tensione (MI b maggiore).  

 

Mozart concepisce un’orchestra di piccole dimensioni, funzionale al “colore” che vuole dare alla folle giornata. Particolarmente curati i fiati, utilizzati al meglio delle possibilità espressive e organizzati per costruire una vera drammaturgia dei timbri. Da sottolineare, poi, l’utilizzo del clarinetto: tanto amato dal Compositore che gli dedicherà l’ultimo concerto per strumento solista, esso accompagna, con le sue sfumature calde e impalpabili, i momenti d’amore e desiderio. E’ lo strumento che dà voce allo struggimento di Cherubino o della Contessa. Gli ottoni invece intervengono nei momenti in cui l’intreccio narrativo si complica o l’esasperato livore sentimentale richiede un inspessimento del volume sonoro. L’orchestra è frequentemente posta in dialogo tra la sezione degli archi e quella dei fiati, ma anche con i protagonisti, divenendo anticipatrice di qualcosa che sta per accadere ma anche specchio psicologico degli stessi personaggi. Mozart crea situazioni con i singoli strumenti. Crea altri personaggi o presenta i lati oscuri di quelli che si muovono in scena. La musica diventa regìa del dramma. Mai, prima di quest’opera, la partitura ricopre un ruolo tanto importante nella “realizzazione” degli eventi drammatici. Come dice Richard Wagner: “Nel Figaro il dialogo si fa pura musica e la musica stessa diventa dialogo”.

 



 

Questo modo di trattare i protagonisti, sia musicalmente sia drammaturgicamente, traccia un solco enorme tra Amadé e Gluck. Per quest’ultimo, i personaggi sono stereotipi e non individui veri e propri, quasi delle creature sovraumane che però presentano una certa staticità “evolutiva” nel percorso dell’opera. In Mozart invece sono figure complesse e connotate dalla mutevolezza degli stati d’animo. Il pubblico ha la percezione di conoscere i personaggi e di sentirli umanamente affini. La capacità di creare archetipi è la caratteristica che, mutatis mutandis, lega la trilogia Dapontiana di Mozart alla “trilogia popolare” di Giuseppe Verdi. I colpi di scena (si pensi alle entrate inaspettate di Cherubino, ai travestimenti, al Sestetto del III atto che assomiglia a un Finale anticipato), i fraintendimenti, il vorticoso succedersi degli eventi, ma anche l’ambiguità umana, l’ambivalenza, l’istintivo imperare dei sentimenti e degli imbrogli, culminano scenicamente nel conte inginocchiato che chiede perdono alla Contessa, perché “Le nozze di Figaro” sono anche un’opera sul perdono. Finis coronat opus.

 

Tutti dovrebbero gioire perché “Or tutti contenti saremo così”. Diavolo di un Mozart. Inventa una di quelle melodie tra le più struggenti e melanconiche della sua produzione, con gli archi che accompagnano e raddoppiano sino a esplodere nella festa che chiude questo giorno frenetico, folle. Anche l’esperto ascoltatore mozartiano va via con la certezza che in ogni sua opera il compositore riapre la partita, consegnandoci un nuovo mondo da guardare e di guardarsi, una nuova strada da percorrere. Qui risiede la geniale e struggente bellezza di tutta la sua musica: quando sembra tutto finito, si ricomincia da capo. Come diceva Gregorio di Nissa: “Da inizio a inizio, attraverso inizi che non hanno mai fine”.

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