Un gorilla appena nato all'Howletts Wild Animal Park di Canterbury, nel Kent (foto LaPresse)

Il bambino nella gabbia e noi a tifare per il gorilla (ciao ciao etologia)

Giulia Pompili
L’istinto animalista collettivo scatenato contro il direttore dello zoo dell’Ohio che ha fatto abbattere un gorilla per salvare un “cucciolo d’uomo”. Ma non è la natura a imporci di salvare la nostra specie? (Una controprova dal Giappone)

I fatti. “Cade nella gabbia del gorilla, dal quale viene afferrato e trascinato per alcuni minuti”, scrive l'Ansa, e già ieri del pauroso evento erano pieni i tg. “E’ accaduto a un bambino di quattro anni allo zoo di Cincinnati, in Ohio, sotto gli occhi terrorizzati dei genitori”. Insomma, succede che il direttore dello zoo di Cincinnati debba prendere una decisione di vita o di morte in pochi secondi, e decida di abbattere il gorilla Harambe, di diciassette anni, perché il sedativo ci avrebbe messo troppo tempo per fare effetto, e nessuno può prevedere cosa succede lasciando un bambino da solo con un gorilla per qualche minuto.

 

“Sacrificato per la negligenza dei genitori”, hanno scritto gli animalisti che adesso hanno giurato vendetta al direttore dello zoo (e tutti giù a commentare un video che, come dimostra il sito debunking.it, era tagliato ad arte). Ora, viene da pensare: sacrifichiamo un gorilla per salvare un bambino potenzialmente in pericolo e subito, come un riflesso pavloviano, l'istinto dell'animalista collettivo – rincretinito dalle varie battaglie vegan, bio, contro la carne, contro l'olio di palma, contro i batteri, contro l’intero universo antropizzato, perché per ciò che non è umano va tutto bene – si scaglia per proteggere lo scimmione ammazzato, e non il bambino in pericolo di vita. Per intenderci: oggi “King Kong” sarebbe un fiasco, sarebbero tutti dalla sua parte e per la ragazza rapita, neanche una lacrima. Però, bisogna ragionare su questo: che salvare il gorilla sarebbe stato esattamente il contrario della natura, dell’istinto etologico della conservazione della specie. Cos’è davvero contro natura, mettere a rischio la vita di un bambino o rischiare di far morire un gorilla? Preferiamo la conservazione di un’altra specie, piuttosto che la nostra? (e un motivo ci sarà, se le civiltà evolute del primo quadrante del ventunesimo secolo avevano deciso di preferire le altre specie, diranno tra centocinquant’anni studiosi ed etologi).

 

Prendiamo l’altro caso del giorno, forse più spaventoso di quello di Cincinnati, spaventoso come la fiaba di Pollicino. E’ il caso del bambino giapponese di sette anni abbandonato dai genitori in un bosco dell’Hokkaido, “pieno di orsi”, si legge nelle cronache. L’avrebbero fatto per punirlo, ma quando sono tornati indietro per riprenderlo, il bambino non c'era più. Sparito. Ancora il ribaltamento dell’etologia? Non sappiamo, qui la risposta è più sottile, diversa. C’entrano la cultura, l’educazione, la percezione del pericolo e della sicurezza, forse pure la faccenda del bene e del male. Nel bosco dell’Hokkaido sono iniziate le ricerche. Il padre, come usa nella cultura giapponese, si è scusato per aver causato tanto disturbo.

 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.