Anita De Pieri, 9 anni

Fratelli di lotte, botte e regali. Viva la società incivile – Il Figlio, lo speciale di Annalena su genitori e figli

Annalena Benini
La società civile è fuori casa, in casa c’è una società incivile basata sull’intimità, sulla giungla e sul perdono fulmineo: un minuto prima lui la insegue per sbatterle in testa la spada laser, il minuto dopo sono entrambi ipnotizzati da un film di paura su Netflix, che per nessuna ragione al mondo vogliono guardare separati.

Sangue. In genere esce dalle ferite solo dopo che si sono urlati le cose più terribili, ma la maggior parte delle volte si accontentano di un livido sulla coscia, un calcio tirato bene con le scarpe dure da ginnastica, oppure qualche sberla alla cieca, in bagno, mentre dovrebbero lavarsi le mani e la faccia e invece litigano perché “mi fa schifo che tocchi il mio asciugamano”, “tu fai schifo”, “tu di più”, “ti odio”, “sei il fratello più scemo del mondo”, “tu sei la più bassa della terra e tutti ridono di te”. Gridano queste cose e nel frattempo sputano dentifricio, calpestano asciugamani, sbattono la porta, schizzano l’acqua, costruiscono e lanciano palline bagnate di carta igienica, velocissimi, e sempre urlano mamma. La soluzione non è mandarli in bagno separatamente, perché in bagno separatamente si rifiutano di andare. Andare in bagno è una specie di punizione quotidiana, un tempo sottratto ai pattini in corridoio e ai cuscini che si tirano addosso in salotto, ai cucchiai di minestra con cui si mirano negli occhi in cucina, quindi non è concepibile che uno vada in bagno e l’altro no, sarebbe un’ingiustizia, significherebbe che io voglio più bene a uno dei due, così tanto bene da risparmiargli per altri cinque minuti di lavarsi le mani e la faccia e il resto. E poi mia figlia ha paura di andare in bagno da sola e, in un momento in cui loro due andavano d’accordo perché lei gli aveva scaricato una app di automobili che esplodono, gli ha imposto un giuramento: giura che mi accompagnerai per sempre in bagno e anche in camera nostra. Forza, di’: lo giuro. Lo giuro, ha detto lui masticando una penna che gli ha macchiato tutta la faccia di inchiostro nero e con l’aria di non sapere che cosa significasse, lo giuro.

 

Così, adesso che sono passati due anni dal giuramento, ogni volta che lui si rifiuta di accompagnarla in giro per la casa mia figlia urla: l’hai giurato! devi farlo!, e penso che l’abbia convinto che violare i giuramenti porti con sé spaventose conseguenze notturne, robot con le braccia allungabili che arrivano e afferrano i bambini mentre dormono e li portano sotto terra, perché anche mentre si picchiano lui l’accompagna in bagno, tirando calci, sberle e cuscini e sempre urlando: fifona bassa cacca scema cretina, a scelta o tutto insieme. A lei non importa, in corridoio schiva i colpi e li ricambia, la cosa essenziale è che lui vada in bagno ma senza mai toccare il suo asciugamano. Quindi lui lo tocca apposta e se lo mette in testa, lei fa il gesto di vomitare e poi ricominciano a picchiarsi e a chiamarmi. Io, che ho deciso di intervenire solo quando esce il sangue o quando un livido si gonfia molto, finché sento le urla sono tranquilla e anzi mi sono convinta che questo sia un modo selvaggio di volersi bene e di prepararsi alla vita fuori, anche un modo per sfogarsi ed evitare di fare agli altri, a scuola, al parco, a casa degli amici, in gita con la classe, in palestra, quello che fanno in tutte le stanze della casa. Un calcio che arriva nella pancia, ad esempio, non lo tirerebbero mai a nessun altro che non sia il fratello o la sorella, e questa cosa, mi dico mentre non rispondo alle grida di aiuto, è molto rasserenante.

 

La società civile è fuori casa, in casa c’è una società incivile basata sull’intimità, sulla giungla e sul perdono fulmineo: un minuto prima lui la insegue per sbatterle in testa la spada laser, il minuto dopo sono entrambi ipnotizzati da un film di paura su Netflix, che per nessuna ragione al mondo vogliono guardare separati. E se la sorella sta per andare in gita e lasciare il fratello solo, prima di partire gli dice: caro fratello scemo, questa non è davvero una gita, vado a fare i compiti, una noia tremenda, starò fuori anche la notte per studiare, non sarà divertente, beato te che resti a casa. Solo così, infatti, con la garanzia che lei non si divertirà, lui riuscirà ad accettare l’assenza della sorella bassa e non piangerà contro il muro diventando tutto rosso. Ogni volta che lei torna da una gita di più giorni, poi, gli porta un regalo, e anzi nelle telefonate serali dalla gita, se le ha fatte, ha parlato esclusivamente del regalo che ha comprato al fratello: lui prende il pacchetto, lo apre, si illumina per quella automobilina di ceramica con la scritta “Pompei”, non riesce a dire grazie ma si capisce che è felice, spinge la lingua contro l’interno della guancia, socchiude gli occhi, saltella, dopo circa due minuti rompe il regalo, e loro due ricominciano a picchiarsi con una smorfia che assomiglia al sollievo.

 

Non è solo esasperante avere due figli che litigano e si picchiano in un appartamento non insonorizzato (e che stabiliscono regole molto rigide per non litigare, anche: ad esempio ogni sera la buonanotte va data a uno dei due per primo, e il giorno dopo all’altro; la posizione più ambita è quella dell’ultimo perché ritengono che, essendo l’ultimo, riceverà una buonanotte più lunga, che comunque viene cronometrata e raffrontata alle buonenotti precedenti: ma se uno provasse a imbrogliare sui turni, l’altro avrebbe il diritto di buttarlo giù dal letto se sta nel letto a castello in alto, o buttarlo nel water se sta nel letto a castello in basso). Non è solo esasperante, soprattutto quando litigano per chi deve aprire per primo il cassetto delle mutande la mattina, o perché uno ha vinto a Cluedo la sera e l’altro ha rovesciato tutto per la rabbia, è anche bello: perché di ogni livido, di ogni presa in giro crudele, di ogni prepotenza e di ogni selvaggeria, di ogni zaino di scuola roteato in aria e lanciato sul naso, l’unico arbitro sono sempre io, oppure mio marito: nessun occhio esterno, nessun appartenente alla società civile potrà impicciarsi delle risse dei miei figli (a meno che le finestre siano aperte e le grida disumane arrivino alla vicina, che comunque è evidentemente sorda e offre sempre, in vestaglia dalla porta, caramelle dure e impolverate che i bambini accettano con entusiasmo, inchinandosi a ringraziare, e subito usano come proiettili per le fionde).

 

Se lo zaino roteato in aria e precipitato sul naso provoca la rottura del naso (non è ancora successo, ma potrebbe succedere oggi pomeriggio, il ghiaccio è in freezer), io dovrò occuparmi soltanto della rottura di quel naso e della punizione di chi l’ha provocata, non dei rapporti diplomatici e costernati con i genitori di un compagno con il naso rotto, o con la madre del bambino scellerato che ha lanciato lo zaino. Non dovrò soffocare istinti primordiali e fingere di essere comprensiva oppure mortificata, né comprare tulipani per dimostrare che non perdo mai la calma. Non dovrò sorridere, minimizzare, o non impazzire mentre un padre mi dice che suo figlio evidentemente è stato provocato e che bisogna prima ascoltare la sua autovalutazione dei fatti, o che la colpa è delle maestre che riempiono gli zaini di libri troppo pesanti. Sarò semplicemente inferocita, furibonda, frustrata e scarmigliata dentro la società tribale di casa mia, pronta a rispondere a chi me lo chiede che i miei figli vanno molto d’accordo, certo litigano, come tutti, ma è normale, e intanto alzerò il volume del televisore per coprire le urla.

 

Mia figlia comunque ha deciso che non ne può più, vuole una stanza tutta per sé. Va bene, le ho detto, è giusto, andrai in prima media, hai bisogno di stare un po’ da sola, puoi prendere la stanza accanto e dormire lì. Hanno esultato tutti e due, felici di separarsi, hanno litigato per la divisione dei giocattoli e si sono picchiati a lungo. Poi lei gli ha detto: adesso giura che mi accompagnerai sempre in quella stanza, e che dormirai lì se te lo chiedo. E lui, masticando un’altra penna, con la bocca blu di inchiostro, ha risposto: lo giuro.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.