John Singer Sargent “Lady Agnew di Lochnaw” (1893)

Se sentite parlare di "letteratura femminile" difendetevi con Bruna Piatti

Simonetta Sciandivasci
La casa editrice Elliot ripubblica “La Parmigiana”, è utile rileggerlo. Un testo di grande innovazione, soprattutto se si ammette che il canone occidentale ha tenuto al guinzaglio i personaggi femmina, impedendo che trascendessero fidanzati; mariti; figli; malattie; dissesto finanziario; perbenismo; moralismo.

A poche pagine dall’inizio, Angelica ammette schiettamente: “non mi interessava che di starmene nuda sul terrazzo ad aspettare Teresio, a guardare le processioni di formiche. Ero pigra e non mi piaceva cucinare”. Le piaceva mangiare, invece: la pizza calda piena di pepe e gibbosa di olive, la torta pasqualina, il fritto di calamaretti, la punta di parmigiano con la lacrima, il prosciutto di Langhirano. E nelle pause tra pizze e calamari, tra Coca-Cola e Lambrusco, le piaceva fare l’amore (non il contrario) “così un’altra giornata passava”. Angelica è una bambolina barracuda minorenne, si prostituisce da quando è scappata dallo zio prete, cui era stata affidata dopo la morte dei genitori, non ha traumi. Abita nel romanzo “La Parmigiana” che Bruna Piatti pubblicò nel 1962, vendendo oltre 500mila copie (già nel ’63, Antonio Pietrangeli ne trasse un film sceneggiato da Ettore Scola e interpretato da Catherine Spaak, Nino Manfredi, Lando Buzzanca). La casa editrice Elliot lo ha appena ristampato: dalla copertina è scomparso il verso “fuoco nelle vene, lambrusco nel bicchiere, evviva la libertà”, che c’era su quella dell’edizione Longanesi del ’66 (lo stesso anno in cui veniva abolito l’Indice dei libri proibiti: è romantico pensare che ci stesse proprio per questo) e che diceva tantissimo del libro, della sua gaiezza, della sua rivoluzione.

 

Tuttavia, allo stesso ruolo, nell’edizione Elliot, assolvono le prime righe dell’introduzione di Angela Scarparo: “Uno dei motivi per cui questo libro andrebbe comprato e letto è che mette di buon umore, senza essere un libro comico o sarcastico”. Una rarità che fa de “La Parmigiana” un testo di grande innovazione, soprattutto se si ammette che, per quanto Marguerite Yourcenar avesse avuto intùito per la libertà nel dire che ha senso discernere tra letteratura buona e cattiva e non tra letteratura femminile e maschile, il canone occidentale ha tenuto al guinzaglio i personaggi femmina, impedendo che trascendessero fidanzati; mariti; figli; sorelle e/o familiari mentalmente instabili; maniaci; malattie; dissesto finanziario; perbenismo; moralismo e conseguente percorso di emancipazione, spesso mandato all’aria per amore, etica, sfiga, perversione (da Madame Bovary, Nanà, Cherie a Jane Eyre, Jo March, Andrea Sachs). Raramente il canone ha consentito ai personaggi femmina la “audace gaiezza” in cui il critico Harold Bloom riconosce la firma di Emily Dickinson, unica donna per lui degna di comparire nella dozzina di “scrittori che rappresentano lo sforzo di trascendere l’uomo senza rinunciare all’umanesimo”. La Angelica di Bruna Piatti rovescia il canone, anzi lo prescinde; non trascende l’uomo ma il maschio sì; rinuncia all’umanesimo e si salda sull’umanissimo (per farlo si estromette dal perseguire qualsiasi meta, compreso il desiderio e si prende il piacere). Con Angelica gli uomini si scusano per aver fatto cilecca e lei, che se ne infischia più che francamente, ci dorme su per poi svegliarsi e stupirsi “di essere ancora al mondo”.

 

Le parlano d’amore come scelta e lei ribatte che il libero arbitrio ha due ostacoli: il sesso e l’intestino. Le raccontano chi sono e quando le domandano di fare altrettanto, lei s’immalinconisce perché non vuole sprecar fiato: comunicare “con un merlo” la secca. Angelica non è mai verbosa e Bruna Piatti la disegna, non la indaga: la principale ragione per cui “La Parmigiana” è un libro che mette di buon umore è la totale assenza di psicologia – esistono molti libri sprovvisti della cartella clinica e/o del fascicolo psicanalitico della sua protagonista? Non vuole marito perché “lo considero l’articolo più ingombrante e monotono”, anche se a un tratto accetta una proposta di matrimonio (che non s’avrà da fare): è la parte più divertente e scombinata del romanzo, che è tutto scritto in un italiano incantevole, disinvolto fino al dialetto e fiammeggiante fino al lirismo. Lui architetta il futuro, pensa ai mobili, alle pentole, all’affitto, cercando di entusiasmare la piccola peste e lei sbadiglia, pensa solo a dove possa essere finito il cestino di vimini che tempo addietro le era cascato nel fiume. Lui dice “appartamento”, lei pensa “panino con la mortadella”. Angelica è focosa, ma gli uomini l’accendono difficilmente. Più facilmente, la sollazzano perché lei sa essere complice delle loro debolezze (prima fra tutte il suo corpo) o l’annoiano, non tanto perché sono maschi, piuttosto perché non hanno la tempra per scardinare la regola della relazione maschio-femmina.

 

A Bruna Piatti non interessava scrivere un romanzo di emancipazione, pertanto Angelica la conosciamo libera: non viene servita come uno stampo in cui le lettrici sono chiamate a riconoscersi. Bruna Piatti non aveva alcun progetto su chi la leggeva: è questa la preziosa rarità che non ha mai intaccato il canone. Molto prima che il femminismo furoreggiasse, “La Parmigiana” conquistò quello che ancora è rimasto da conquistare: la spensieratezza. Nel marzo del 1948, sulla rivista Mercurio diretta da Alba De Cespedes (altra scrittrice luminosa e dimenticata), Natalia Ginzburg pubblicò il suo “Discorso sulle donne”, in cui sosteneva che “le donne hanno la cattiva abitudine di cascare ogni tanto dentro a un pozzo, di lasciarsi prendere da una tremenda malinconia e affogarci dentro”: un vecchio errore nel quale era fondamentale imparare a non ricadere e che secondo lei era congenito all’essere donne e all’avere dei figli, che significava temere di morire non per amore della vita ma per paura di lasciarli soli. De Cespedes controbatteva che quel cadere nel pozzo consentiva alle donne di venire a contatto diretto con le debolezze e tutto ciò che forma e migliora l’animo umano: rinunciarci significava diventare uomini. Quindi, il compito delle donne consisteva nell’acquisire la consapevolezza delle virtù del pozzo. Bruna Piatti doveva averlo letto: “La Parmigiana” è scritto da una donna che è cascata nel pozzo (ragion per cui non è comico, né sarcastico) e ne è uscita per diffonderne la luce, non per rivalersi o lagnarsi. Angelica propaga quella luce, della quale nei romanzi femminili è sempre più complicato trovare persino l’interruttore.

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