Il Figlio

Negoziati in famiglia

Paola Peduzzi

L’inefficacia della diplomazia famigliare spiegata con la teoria dei giochi (e una fetta di torta). La debolezza nel negoziato inizia dall’incapacità di un genitore di ricordarsi come ha fatto ad arrivare fin lì, qual è stato il momento in cui pensava di avere il controllo su tutto e poi a un tratto non lo ha avuto più.

Negoziare sempre, negoziare tutto. La vita dei genitori è un negoziato permanente: che cosa fai nella vita tu? Gestisco trattative e dirimo controversie con i miei figli. Ogni tanto ritorna alla mente il consiglio della nonna, che fin dalla nascita dei nipotini ripeteva: perché fai scegliere a loro? Perché chiedi che cosa vogliono a cena, che vestiti preferiscono mettersi e dove desiderano andare in vacanza? L’eccesso di democrazia crea confusione, diceva, e tu rispondevi, guardandola dall’alto in basso infastidita, che la dittatura è per fortuna superata, noi siamo fieramente contro i regimi e per la libera scelta. Il consiglio non è stato accolto, i “te l’avevo detto” sono musica di sottofondo, ormai è tardi. Negoziamo.

 

Non c’è bisogno di aver seguito una carriera diplomatica per sapere che, per ottenere quel che si vuole, bisogna: essere sicuri delle proprie convinzioni, negoziare da una posizione di forza, individuare soluzioni ai problemi e soprattutto non stancarsi mai. La tenacia, ecco il segreto. La capacità di muoversi in un mondo in cui tutto si può complicare all’improvviso e la capacità di domare i capricci e le fissazioni tipici dei “rogue states”, oppure dei bambini. Come titolava domenica il magazine dell’Observer, la vita famigliare è un inferno. Secondo uno studio pubblicato nel Regno Unito, i genitori dichiarano di essere esauriti, non riescono a stare dietro ai corsi di nuoto sincronizzato e alle consegne sul lavoro, per non parlare del tempo che perdono nel traffico, per parcheggiare, per stendere i panni, per preparare i biscotti e per ripetere la lezione sull’uomo di Cro-Magnon. Mentre le pubblicità esaltano il “quality time” proponendo immagini familiari sorridenti con bambini allegri fin dal primo mattino (la gioia del risveglio, che astuta bugia), il 28 per cento dei genitori ammette di aver finto sul lavoro influenze, arti rotti e malattie rare per sopravvivere ai picchi di frenesia della vita famigliare.

 

Si può essere negoziatori tenaci se ci si addormenta sul divano mentre i figli ancora discutono a letto su chi ha diritto al telecomando la sera successiva? Tony Crabbe, un imprenditore-piscologo che ha pubblicato un libro intitolato “Busy: How to Thrive in a World of Too Much”, spiega come restare vivi nell’inferno del parenting, come superare “la tempesta perfetta, quella pressione sociale che ci vuole tutti genitori perfetti”. I suggerimenti sono sensati, mai all’altezza delle aspettative e con sfumature ridicole o insultanti a seconda dell’umore del lettore. Respira. Prenditi il tempo di tre tazze di tè al giorno con il tuo partner. Lascia che i bambini scoprano la noia. Rispondi “aspetta” alle domande petulanti e poi dimenticatele. Recupera i tuoi spazi. Non farti fregare.

 

La debolezza nel negoziato inizia infatti dall’incapacità di un genitore di ricordarsi come ha fatto ad arrivare fin lì, qual è stato il momento in cui pensava di avere il controllo su tutto e poi a un tratto non lo ha avuto più. Il momento in cui la trattativa è sfuggita di mano. La rivista Aeon ha pubblicato di recente un minisaggio sulla teoria dei giochi applicata al “parenting”. La teoria dei giochi è spesso citata nella diplomazia, perché studia le strategie di risposta in assenza di informazioni condivise: di fronte a una proposta, cosa devo rispondere per mantenere credibilità nel negoziato? Ancora una volta le applicazioni pratiche nella vita quotidiana sono meno creative di quanto si possa sperare: esistono meccanismi di reazione empiricamente verificati – se io collaboro anche tu collabori, se due fratelli si gestiscono da soli l’unica fetta di torta rimasta, uno taglia e l’altro sceglie, saranno motivati a essere equi – ma non tutti i negoziati si risolvono con una buona strategia.

 

Anzi, spesso finiscono male proprio i negoziati in cui le premesse erano favorevoli, perché il palloncino scoppia subito dopo che ti sei fatto convincere a comprarlo, perché il ghiacciolo cade nel cestino insieme alla carta o perché inizia a piovere. Nessuna trattativa diplomatica ai più alti livelli, che ci siano ostaggi da liberare o guerre mondiali da scongiurare, potrà mai eguagliare l’imprevedibile reazione di un bambino che sente di aver subìto un’ingiustizia o che si è svegliato di cattivo umore. E’ così che, quando la domenica in famiglia è un inferno e la torta brucia nel forno, il negoziato diventa all’improvviso un bivio: fai quello che vuoi o si fa come dico io. Non ci sono teorie, non ci sono consigli, ci sono soltanto prove di forza, la tentazione di cedere per sfinimento o di impuntarsi con scatti isterici di severità. Il tasso di inefficacia della diplomazia, nelle famiglie, è molto alto, forse più che alle Nazioni Unite. Si fa come dico io. Perché? Perché l’ho deciso io.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi