Checco Zalone (foto LaPresse)

Checco Zalone: un fenomeno da studiare

Mariarosa Mancuso
Totò negli anni Cinquanta, Fantozzi nei Settanta, Checco oggi. Un libro del critico cinematografico Canova spiega il successo del comico per non lasciarlo ai dilettanti che ne sminuiscono la genialità, trattandolo come una forma di impazzimento collettivo.

Le battute non si spiegano, se bisogna farlo vuol dire che non sono riuscite. I fenomeni come Checco Zalone vanno studiati. Per non lasciarlo ai dilettanti che ne sminuiscono la genialità, trattandolo come una forma di impazzimento collettivo. Per compensare gli sbadigli slogamascella che i film comici usciti in sala prima e dopo “Quo vado?” procurano. E’ molto probabile che non li abbiate visti tutti, noi che ci siamo sobbarcati l’ingrato compito possiamo certificare la fatica (e l’imbarazzo, spesso).

 

Leggere “Quo chi? Di cosa ridiamo quando ridiamo di Checco Zalone” (editore Sagoma) rimette di buon umore, e siamo sicuri che Gianni Canova non se ne avrà a male. I saggi sul cinema tendono sempre pericolosamente verso la teoria slegata dalla pratica, al punto che risulta faticoso riconoscere il film, o il comico, accomodato da morto sul tavolo anatomico per essere sezionato e analizzato. Il gusto conta poco, ammesso che uno ce l’abbia. Qui siamo piuttosto di fronte a una radiografia: si vede tutto, e si capisce tutto, ma l’operazione viene fatta su un corpo vivo. Ogni battuta riferita, e messa in cortocircuito con altre della tradizione comica italiana, fa ancora ridere come al cinema.

 

“Amo riamata Serafini Nello e lo appartengo” dichiara Monica Vitti in “Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca)” di Ettore Scola. Serve a Gianni Canova per illuminare una battuta di Checco Zalone, “Sarei un ipocrita se dico il viceversa”: strazio del lessico e della sintassi, frutto di una scrittura raffinatissima che orecchia e riproduce il linguaggio popolare come riesce a pochi. E svela quanta fatica serve per fabbricare svarioni che tutti riescono a cogliere. Sarebbe più facile scherzare sui paroloni usati a vanvera, che però fanno ridere solo chi ne conosce il significato e li usa per escludere.

 

Totò negli anni Cinquanta, Fantozzi negli anni Settanta, Checco Zalone oggi. Così vengono ristabilite le proporzioni. A dispetto di chi apprezzerà il lavoro di Luca Medici e del suo complice, nonché regista, Gennaro Nunziante soltanto quando – tra venti o trent’anni, questo è il periodo di latenza che scontano i comici italiani – saranno invitati con tutti gli onori nelle retrospettive festivaliere. Sarà divertente, quando sarà, assistere al voltafaccia di chi adesso svilisce o non prende sul serio “Quo vado?” e gli altri film, le parodie canore di “Zelig”, la magnifica chiacchierata sul periodo pugliese di Chopin che Checco Zalone e Gennaro Nunziante hanno registrato alla Radio della Svizzera Italiana nel 2010, scoccati i 200 anni dalla nascita del compositore. Uno si presentò come vincitore del festival Chopin di Alberobello, suonato con l’organetto Bontempi. L’altro come presidente del festival suddetto. Ne uscì un grandioso numero di cabaret musicale, e verrebbe voglia di chiedere il bis.

 

“Labbro tremulo” (che con minime variazioni imita Roberto Saviano o Massimo Gramellini) e “pancetta impiegatizia”. Sono le caratteristiche fisiche che Gianni Canova fa notare anche a noi che credevamo di conoscerlo a memoria. Qualche capitolo ha forma di saggio, e spiega come funzionano l’esagerazione, il fraintendimento, il rovesciamento – armi di ogni comico che intende far ridere con una bella provvista di “natura umana”, come annunciava già nel Settecento Henry Fielding all’inizio del suo romanzo “Tom Jones”, e non l’ultima intercettazione letta sui giornali.

 

Altri raccontano faccende più personali: come fu, ad esempio, che Gianni Canova critico cinematografico e preside della facoltà di Comunicazione allo Iulm, si fece cogliere dall’abbiocco davanti a un film del venerato maestro coreano Kim Ki-duk, e poi davanti a “8 1/2” di Federico Fellini, per risvegliarsi con il Dvd di “Cado dalle nubi”. Completano il libro un’intervista a Checco Zalone e una a Gennaro Nunziante. Strappa l’ultima risata il ringraziamento al cupo romanziere e saggista Antonio Scurati: “per la sua ontologica refrattarietà nei confronti della commedia”. Diagnosi perfetta, se mai vi è capitato di leggere lo scrittore che mancò il Premio Strega per un voto.

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