Gato Barbieri

Cosa vi siete persi se di Gato Barbieri avete sentito solo l'Ultimo Tango

Maurizio Crippa
Perché il grande sassofonista argentino morto ieri non è stato soltanto una delle più belle voci strumentali di sempre, ma ha inventato un mondo musicale che ha segnato i ritmi di una generazione. Ascoltare il suo jazz latino per credere

Se siete di quelli fissati per essere informati, che la domenica pomeriggio leggono tutti i coccodrilli disponibili di Cesarone Maldini, se siete di quelli che vi siete letti pure gli articoli buttati giù un po’ di corsa sulla morte di Leandro “Gato” Barbieri, una delle più belle voci di sax tenore della storia del jazz, vi avranno stancato al terzo articolo la monotonia del riferimento alla colonna sonora di Ultimo tango a Parigi, che gli fece sì vincere un Grammy ma non è la sua cosa più bella, così come non è il più bel film di Bernardo Bertolucci. (Comunque eccolo qui per dovere di cronaca)

 

 

Se siete di quelli che non recedono facilmente dalla curiosità, e avete strenuamente resistito al provincialissimo elenco delle cose (minori) suonate da Gato Barbieri in Italia – l’assolo di Sapore di Mare, quello per Modena di Antonello Venditti, le collaborazioni con Pino Daniele – allora potreste aver scoperto (o ritrovato) qualcosa di infinitamente meglio.

 

Nato anagraficamente nel 1932, cresciuto nei locali jazz di Buenos Aires degli anni 50, trasmigrato al jazz newyorchese con  Don Cherry e verso il free jazz dei Sessanta,  a un certo punto El Gato ha cambiato tutto, ha ripescato e miscelato tutte le sue radici musicali latinoamericane, ha fatto cose come queste:

 

 

Non è per Bertolucci se Gato Barbieri è stato uno dei pochi jazzisti diventati, per caso o per magia, anche un’icona generazionale. E’ stato per via dei suoi anni Settanta. Forse anche un po’ perché era nato a Rosario (“the same place of Che Guevara” faceva scrivere nelle sue bio sugli Lp di quegli anni). E’ stato soprattutto perché, ritrovando tutti i suoni e i ritmi del suo sub-continente, e quelli poi di altri mondi lontani, e inventando per primo la contaminazione di quei suoni, ha trasformato il suo sax in una voce roca, urlata, sinuosa dal timbro inconfondibile. Ha cambiato (un po’) del jazz, ha dato musica a un mondo, a un pezzo di una generazione. E ha fatto cose come questa, che tutti gli altri ci sarebbero arrivati vent’anni dopo:

 

 

E tutto il resto che potrete sentire, soprattutto degli anni in cui incise per la Impulse!, la mitica etichetta fondata da John Coltrane. “Io suono quando la gente urla”, disse Nunca mas.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"