"Uomini e Donne" gay, così Maria De Filippi non fa altro che seguire il suo pubblico

Manuel Peruzzo

Da settembre la televisione generalista italiana col pubblico più meridionale di sempre sarà finalmente pronta a tronisti e contendenti gay. Ci siamo arrovellati sul diritto alla paternità omosessuale quando ancora mancava un tassello importante all’emancipazione: il diritto dei gay a essere tamarri.

Maria De Filippi è un genio. Dirlo è ormai superfluo e ti fa sembrare uno di quei fighetti che per vezzo si dimostrano benevolenti verso il triviale per poter riaffermare l’emancipazione dai vecchi modelli distintivi. Pazienza. Siccome è un genio avrà sicuramente ragione lei se ha deciso solo ora di trasformare uno dei suoi programmi di punta, Uomini e Donne, in Uomini e Uomini o Donne e Donne, cioè da settembre la televisione generalista italiana col pubblico più meridionale di sempre sarà finalmente pronta a tronista e contendenti gay. Ci siamo arrovellati sul diritto alla paternità omosessuale quando ancora mancava un tassello importante all’emancipazione: il diritto dei gay a essere tamarri.

 

Il gay in televisione c’è sempre stato. Paolo Poli con la scusa del teatro faceva la drag queen cinquant’anni prima di RuPaul's Drag Race; abbiamo avuto concorrenti di reality omosessuali, trans, lesbiche; opinionisti frocissimi, bi-curiosi, confusi. In genere si pensa che la caratteristica del gay televisivo sia eccesso, esuberanza, ostentazione. Riconoscibilità. In realtà è sempre stata il gay innocuo sessualmente, quasi mai sensuale o perturbante (Michael e Jonathan, concorrenti del Grande Fratello quasi asessuati). Maria è da sempre interessata a indagare nuovi canoni estetici e modelli di mascolinità, e probabilmente rivoluzionerà anche questo aspetto.

 

La storia televisiva non è nuova a certe seduzioni. All’inizio del millennio girava uno spot americano in cui due donne cercavano di rimorchiare con lo sguardo un uomo, il quale però scoprivano essere gay, e si consolavano: «almeno non è sposato».  Altri tempi. Ogni donna si è chiesta almeno una volta «quello lì che non mi guarda sarà mica...?», e ci sono due noti programmi che si basano su questa paranoia del rimorchio. Il primo è l’americano Playing it straight (2004), dove i concorrenti gay nascondono i propri gusti e corteggiano una donna, la quale deve accorgersi della differenza dagli atteggiamenti, tono di voce, gusti musicali etc.; meccanismo simile nell’inglese Gay, Straight or Taken (2007). All’inverso, in Boy meets boy (2003) a essere corteggiato è un uomo e dovrà capire chi tra i pretendenti si sta fingendo gay. Il tentativo era di stabilire l’identità sessuale attraverso consumi culturali o differenze nell’atteggiamento (confondendosi di continuo e quindi colpendo diversi pregiudizi). C’è poi stato Room raiders di Mtv, dove il conteso frugava nelle camerette dei pretendenti prima di incontrarli: un poster di Britney Spears faceva in genere passare ogni voglia. I pretendenti guardavano il tutto davanti a un monitor, chiusi insieme in un camioncino, che è di per sé operazione molto audace.

 


Tre giovani partecipanti del trono classico di "Uomini e Donne"


 

C’è persino stato l’incubo freudiano Date My Mum, dove il pretendente sceglieva il partner in base all’esterna con la di lui madre (la quale poi raccontava al proprio figlio com’era andata), lo scopo era evidentemente esplicitare il coming out; in Italia abbiamo avuto il concorrente gay in Mammoni (2012), un inspiegabile insuccesso di Italia uno condotto da Rossella Brescia.

 

Sappiamo tutti che Uomini e Donne è quel programma televisivo che si regge su tre componenti: inganno, menzogna, strategia; insomma, una delizia. Salvatore Petrarca, in un vecchio libro molto citato quando si deve fare bella figura, Il Mistero di Maria, scrive che il fine ultimo del programma è la competizione per la competizione: vincere e affermare come vincente la propria strategia.

 


Partecipanti del trono over


 

Chi lo ha visto almeno una volta lo sa. C’è un tronista che si fa corteggiare, c’è una corte di pretendenti che litiga per stabilire il proprio primato sull’altro, con discussioni potenzialmente infinite, hai le preghiere di riconoscimento sociale ("sono vera”) che vengono esaudite (“Non sei nessuno”), la macchine del fango (“sei qui solo per la visibilità”) e gli abbandoni plateali (“no Maria, io esco”, “io mi alzo e me ne vado”),le infinite auto-assoluzioni indulgenti (“sono sempre stato me stesso”) e ogni genere di cattiveria per vincere le discussioni. Maria ha raccontato l’antropologia e la psicologia dei giovani (trono classico), degli anziani (trono over) e ora finalmente dei gay. Tremino le sedie di plastica.

 

Il pubblico di Maria è gay da un be po’; i concorrenti e gli opinionisti, pure. Finalmente lo sarà anche il tronista, e l'autrice dice: "Non cerco lo scandalo, ma la normalità di un amore vissuto nella sua piena quotidianità". Unico problema: gli omosessuali non sono abituati a queste tecniche di seduzione. Sono terrorizzati dalla possibilità di un rifiuto, detestano inseguire. La volpe in genere dice "l'uva se la tira", e proseguono. Ipotesi: se ne staranno lì seduti con il cellulare in mano, tutti su Grindr a inviare foto al tronista con descrizione “sono solare non cerco sesso, odio le persone false, invia foto per primo”. Maria si limiterà a pubblicare le schermate, così non dovrà neppure intervenire timidamente con qualche domanda e potrà condurre in assenza via Skype, come conviene, da remoto. Pura avanguardia. Se il programma fosse un minimo realista, e ce lo auguriamo, le esterne saranno censurate: perché limitarsi a provarne uno quando si può sceglierne tre o quattro assieme (anche se ormai le orge sembra le facciano solo i criminali). Più probabilmente si realizzerà l’incubo di ogni omosessuale dotato di wifi: parlarsi.