Il vero mistero su Pasolini è capire come il film di David Grieco abbia trovato posto in un cinema

Mariarosa Mancuso
Quanto volete per smettere? Per lasciare in pace Pier Paolo Pasolini? Tutto questo tempo sprecato per farlo diventare uno dei misteri d’Italia non sarebbe meglio adoperato per leggersi qualche poesia, magari sul vincitore dello Strega che nessuno ricorda l’anno dopo, peggio del vincitore al Festival di Cannes?

Quanto volete per smettere? Per lasciare in pace Pier Paolo Pasolini? Tutto questo tempo sprecato per farlo diventare uno dei misteri d’Italia non sarebbe meglio adoperato per leggersi qualche poesia, magari sul vincitore dello Strega che nessuno ricorda l’anno dopo, peggio del vincitore al Festival di Cannes? Tanto tempo sprecato per farlo diventare un mistero d’Italia, ripetiamo volentieri, perché le cose sono andate al contrario: a furia di fare inchieste per stanare scomode verità, il caso si è ingigantito e l’intrigo si è complicato invece di sbrogliarsi. Fino al paradosso: il cugino Nico Naldini, di anni 87, uno che non ha mai voluto sentire parlare di congiure o di complotti (“incidente di percorso in una vita sregolata”, ha detto più volte) non viene invitato né agli anniversari né alle celebrazioni.

 

Tutti hanno detto la loro, incluso Walter Veltroni. Massimo Ranieri ha la parte del poeta nel film di David Grieco “La macchinazione”, ora nelle sale: è bastato per aggiungersi alla lista dei deliranti. Dopo aver indossato un giubbotto scamosciato e girato la scena di una partita a calcio in borgata ha preso anche lui il numeretto e a gran voce ha chiesto la verità su Pasolini. Uno che si faceva tingere i capelli di nero dalla mamma, racconta il film, e non si capisce se lo scandalo sta nel nerofumo, o nella tintura casalinga con la boccetta comprata sugli scaffali del supermercato.

 

Il complotto, o la congiura, o il grande mistero pasoliniano si estende nel film di David Grieco fino a comprendere la banda della Magliana (da “Romanzo Criminale” in poi si porta con tutto). Il mistero più grosso – su cui mancano le indagini – è sapere come mai un film come questo sia stato scritto, girato, distribuito in sala, senza che nessuno facesse la minima obiezione. Cinematografica, almeno, se non di sostanza fanta-criminale.

 

Interessanti anche i retroscena: David Grieco avrebbe dovuto collaborare con Abel Ferrara, per il suo “Pasolini” presentato alla Mostra di Venezia nel 2014 (lo stesso anno del ripassino su Giacomo Leopardi inflitto da Mario Martone). Qualcosa andò storto, e per il gusto della scissione che caratterizza i cultori di Pier Paolo Pasolini - oltre che la sinistra italiana – ora si è fatto un film tutto suo (fa coppia con il volume – sempre firmato David Grieco – uscito da Rizzoli con il titolo “La macchinazione. Pasolini. La verità sulla morte”).

 

La macchinazione è tanto arzigogolata che abbiamo vergogna perfino a raccontarla, tra Eugenio Cefis (“lo considero il demonio dell’Italia d’oggi”, testuale nel film), una sala da biliardo in periferia, il furto con richiesta di riscatto delle bobine di “Salò - Le 120 giornate di Sodoma”, pagine di “Petrolio” che correggono “bomba alla stazione Termini” in “bomba alla stazione di Bologna”. Però garantiamo che a vederlo è peggio.

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