“Il piano consisteva nell’ottenere il massimo numero di vittime civili. Sappiamo che i killer avevano studiato la struttura degli edifici”

Islamofascismo, no grazie

Christopher Hitchens
Il peccato della sinistra mainstream secondo Hitchens: condannare l’America e non capire che la moderazione contro il jihadismo è stata la nostra più grande disgrazia. I talebani e i loro surrogati non si accontentano di immiserire le loro società. Vogliono scatenare l’inferno sugli empi.

Entrambi i movimenti si basano su un culto della violenza omicida che esalta la morte e la distruzione e disprezza la vita della mente. (“Morte all'intelletto! Viva la morte!”, come disse tanto concisamente Queipo de Llano, compare del generale Francisco Franco Gonzalo). Entrambi sono ostili alla modernità (tranne quando si tratta di ottenere le armi), ed entrambi sono amaramente nostalgici per imperi passati e glorie perdute. Entrambi sono ossessionati da “umiliazioni” reali e immaginarie e assetati di vendetta. Entrambi sono cronicamente infettati dalla tossina di una paranoia antiebraica (è interessante notare, inoltre, dalla cugina relativamente più mite, la paranoia anti massone). Entrambi sono inclini al culto del capo e a sottolineare in maniera esclusiva il potere di un grande libro. Entrambi si impegnano strenuamente per la repressione sessuale – soprattutto per la repressione di qualsiasi “devianza” – e i suoi omologhi, la subordinazione della donna e disprezzo per ciò che è femminile”.
Christopher Hitchens, Difendere il termine “Fascismo islamico”

 


 

 

Non tutti i lettori hanno apprezzato il mio attacco alla tendenza della sinistra liberale a “razionalizzare” l’attacco dell’11 settembre, o il mio uso del termine “fascismo dal volto islamico”. Selezionerò quindi un esempio tipico del genere di “riflessioni” che continuo a ritrovarmi sullo schermo, persino adesso. Questa gemma appartiene a Sam Husseini, alla guida dell’Istituto per l’accuratezza pubblica di Washington: “I fascisti come Bin Laden non avrebbero potuto ottenere i volontari per la propaganda se Israele si fosse ritirato da Gerusalemme come doveva, e se gli Stati Uniti avessero interrotto le sanzioni e i bombardamenti sull’Iraq”. In un modo o nell’altro, questa “riflessione” l’hai sentita esprimere anche tu, caro lettore, non è vero? Non credo di essermi preso troppo tempo nella mia ultima rubrica per sottolineare quanto sia profondamente marcia, fin nel midollo. Quindi, tanto per chiarire due cose: (1) Se Husseini sa cosa gli assassini avessero in mente, è sua solenne responsabilità informarci sulla fonte delle sue informazioni, e anche condividerle con le autorità. (2) Se invece non lo sa, cosa che pare enormemente più probabile, allora perché ha tanta fretta di proclamarsi pupazzo-ventriloquo d’una tale fazione? Chi si offrirebbe volontariamente per un tale compito in un momento simile?

 

Non solo è indecente agire in qualità di autoproclamatosi interprete per gli assassini, ma è estremamente azzardato. Gli squadroni della morte non ci hanno consegnato un manifesto postumo con le loro rimostranze, né hanno avanzato qualche pretesa sulla Palestina o l’ Iraq, ma siamo comunque in grado di ipotizzare o dedurre o intuire un bel po’ sulla “radice” ideologica o teologica del loro gesto (Husseini non sembra esigere una “prova” del coinvolgimento di Bin Laden non più di quanto l’Amministrazione Bush sia disposta a fornirne una) e se abbiamo ragione al riguardo, allora conosciamo piuttosto bene due cose: le loro idee e le loro azioni.

 

Anzitutto le azioni. Il piano principale consisteva nell’ottenere il massimo numero di vittime civili in una zona molto densa del centro di Manhattan. Sappiamo che i killer avevano studiato la struttura degli edifici e del quartiere circostante, e sappiamo che sono stati limitati solo dagli orari dei voli e dalle prenotazioni dell’aviazione civile. Dovevano quindi essere ben pronti a convertire aerei pieni di persone in missili, invece degli aerei misericordiosamente quasi vuoti che furono effettivamente requisiti, e avrebbero potuto sperare, in una combinazione di fortuna e tattica, di riuscire almeno a raddoppiare la mattanza a terra. Hanno trascorso un po’ di tempo in compagnia delle famiglie che avevano rapito per un omicidio di massa. Il tutto è stato chiaramente pensato per essere molto, molto peggio di come sia andata. Ed è stato progettato e covato nel segreto molto prima della masturbazione reciproca del “processo” Clinton-Arafat-Barak. In ogni caso, non è che i talebani si siano distinti per un particolare interesse nei confronti della situazione palestinese. Erano più impegnati a portare la propria società sotto il dominio della declinazione più inflessibile e spietata della legge della sharia. La cosa è risaputa per chiunque conosca minimamente la questione. Il piano secondario era quello di colpire il Dipartimento della Difesa e (basandosi sulla prova migliore a disposizione) la cupola del Campidoglio oppure la Casa Bianca. Il Pentagono, con tutto il suo simbolismo, in realtà costituisce più la punta dell’apparato civile della “macchina da guerra” americana, e si trova in un quartiere densamente popolato della Virginia. Lo si può certamente definire un obiettivo militare, da una certa prospettiva, anche se i binladenisti non hanno tentato nulla contro qualche base aerea custodita o una centrale nucleare in Pennsylvania (e anche se l’avessero fatto, oggi certamente leggeremmo che il bagliore che si leva da Three Mile Island è stato una vendetta per la globalizzazione). Il Campidoglio è dove gli elettori inviano i loro rappresentanti eletti. Dei poveracci, certo, ma nostri. La Casa Bianca è dove si trovano il presidente eletto con la sua famiglia e il personale. E’ sopravvissuta al tentativo dell’imperialismo britannico di raderla al suolo, e a quello della Confederazione di espugnare Washington, e ciò ha santificato anche i suoi inquilini più mediocri. Potrei, da dove sono seduto, essere a pochi passi da una Capitol Hill sventrata o una Casa Bianca ridotta a un cumulo di macerie. In tal caso sono certo che Husseini e la sua marmaglia di simpatizzanti mi direbbero comunque che tutti i nodi vengono al pettine. (L’immagine degli uomini di Bin Laden “che fanno propaganda” è l’essenza perfetta di tale verbosità senza cervello). Solo lo stoicismo di uomini come Jeremy Glick e Thomas Burnett ha impedito un simile esito; solo chi ha scelto di morire combattendo, piuttosto che permettere una tale bestemmia, e un tale ulteriore pedaggio di vite umane, si frappose tra noi e il quarto squadrone della morte. Un briciolo di tale forza innata vale tutti gli scritti di Noam Chomsky, che ha avuto la freddezza di paragonare il piano dell’11 settembre a un raid stupido crudele e cinico voluto da Clinton a Khartoum, e parlo con un certo sentimento rispetto a quella faccenda, perché all’epoca scrissi tre pezzi sul Nation, sottolineando (con prove tutt’oggi inconfutate) che si trattava di un crimine di guerra, e un crimine di guerra avversato dalla maggioranza dell’establishment militare e d’intelligence. Tale crimine era direttamente e sordidamente legato allo sforzo di un presidente corrotto per evitare l’impeachment (conclusione diligentemente evitata dai Chomsky e Husseini di allora). L’impianto farmaceutico al Shifa era ben noto per essere un obiettivo civile, e proprio per questo motivo la sua “scelta” fu contrastata dalla maggior parte dei Joint Chiefs e personale della Cia. (Si veda, per conferme aggiuntive, il saggio di Seymour Hersh sul New Yorker, “I missili di agosto”). Citare questo degrado degli Stati Uniti a Repubblica delle Banane nello stesso respiro dedicato a un piano, escogitato per mesi, allo scopo di infliggere il massimo orrore su degli innocenti significa abbandonare ogni parametro che renda possibile il discernimento intellettuale e morale. Per dirla nel modo più infimo ed elementare: almeno i missili lanciati da Clinton non erano pieni di passeggeri. (Come va, Sam? Noam, che mi dici di bello?).  Li riconoscerete dalle loro opere. Che dire invece delle idee che li animano? C’erano forse settecento fedeli osservanti del Profeta Maometto a bruciare vivi a New York l’11 settembre. Nessuno che abbia studiato la zona del bersaglio avrebbe potuto dubitare che una stima simile fosse quantomeno probabile. E, dal momento che l’islam non fa alcuna discriminazione tra il colore e le sfumature dei suoi aderenti, c’erano buone ragioni per pensare che qualsiasi aereo carico di civili potesse includere alcuni musulmani. Non segnalo questo aspetto con più attenzione di quanta ne darei per le diverse centinaia di miei compatrioti inglesi (alcuni dei quali anche musulmani, non c’è dubbio) che sono periti. Lo sottolineo solo perché esprime il mio punto di vista sul fascismo. Per i settari wahhabiti indottrinati di al Qaeda, solo i più puri e fanatici sono degni di considerazione. Gli insegnamenti e proclami pubblici di questo culto ci hanno iniziato all’idea che alla tolleranza, all’apertura mentale, all’apostata o ai seguaci di diversi rami della fede si addicono solo la macellazione e il disprezzo. E questo prima che cristiani ed ebrei, per non parlare di atei e laici, siano anche solo entrati nella partita. Come prima, l’opera proclama e rivela la sua “radice”. Il risentimento e l’animosità precedono persino la Dichiarazione Balfour, per non parlare dell’occupazione della West Bank. Sono anteriori alla creazione dell’Iraq come stato. Le porte di Vienna sarebbero dovuto cadere dinanzi al jihad ottomano prima che si potesse cominciare ad applicare un qualche balsamo a queste ferite psichiche. Ed è proprio questo, adesso, il nostro problema. I talebani e i loro surrogati, non si accontentano di immiserire la loro società con l’accattonaggio e la servitù della gleba. Sono condannati – e illusoriamente credono sia loro comandato – a diffondere il contagio e scatenare l’inferno sugli empi. Il primo passo che dobbiamo fare, quindi, è acquisire sufficiente autostima e fiducia in noi stessi per dire che abbiamo incontrato un nemico e che questo non siamo noi, ma qualcun altro. Qualcuno con cui coesistere è, per fortuna credo, impossibile. (dico “per fortuna”, anche perché sono convinto che tale coesistenza non sia auspicabile).

 

Ma eccoci incontrare persone che si lamentano subito che, in effetti, questo nemico siamo noi. Non abbiamo forse aiutato i macabri talebani a raggiungere e mantenere il potere? Sì, in effetti “noi” l’abbiamo fatto. Beh, ciò forse non duplica o triplica la nostra responsabilità a rimuoverli dal potere? Un improvviso silenzio da pecore, rotto da un belato. Non sarà una “reazione eccessiva”? Per il momento voglio solo dire che la reazione moderata ai talebani da parte di tre successive amministrazioni degli Stati Uniti costituisce una delle più grandi e clamorose disgrazie del nostro tempo. Ci sono buone ragioni per pensare che una sconfitta dei talebani riempirebbe di gioia le strade di Kabul. Ma, al momento, l’Amministrazione Bush sembra ostaggio di clienti pachistani e sauditi che sono gli sponsor e “gli ospiti” di coloro che il presidente dichiara pubblicamente di ricercare! Eppure, la sinistra mainstream, sempre strascicando i piedi, teme solo il disagio che potrebbe derivare dal ripudiare una posizione così indifendibile e umiliante. Molto bene allora, compagni. Non fingiamo di voler fare ammenda per i crimini passati dell’America in quella regione. Ecco un crimine che si può ammettere e cancellare, la sponsorizzazione dei talebani potrebbe essere riscattata dalla demolizione del loro regime e la liberazione delle loro vittime. Ma non rilevo da nessuna parte lo stomaco per un simile progetto. Meglio, quindi, è più decente e reticente non lasciarci influenzare dalle “nostre” offese passate. Questo non è un articolo su una qualche strategia in vasta scala, tuttavia mi sembra scontato sostenere che un impegno sincero a favore degli elementi laici o riformisti nel mondo musulmano sposterebbe automaticamente il bilanciamento dell’impegno americano, finora molto discutibile. Ogni giorno, come favore agli israeliani, Washington dice al miserabile Arafat che deve sorvegliare e reprimere le forze di Hamas e del jihad islamico. Quando è stata l’ultima volta che Washington ha preteso che l’Arabia Saudita cessasse il massiccio finanziamento di tali organizzazioni primitive e senza scrupoli? Lasciamo che gli algerini combattano l’ondata islamo-fascista senza dire una parola o dare una mano. E questo è uno sforzo in cui si potrebbero coinvolgere le organizzazioni civili e sociali senza permesso ufficiale. Dovremmo costruire un simile internazionalismo, sia che serva alle esigenze a breve termine dell'attuale amministrazione oppure no: ho firmato una dichiarazione anti-talebani diversi mesi fa e sono rimasto allibito dal silenzio inquietante con cui l’iniziativa è stata accolta a Washington. (E’ chiaro che la richiesta di autodeterminazione palestinese costituisce, come in passato, una buona causa in sé. Non ora più che mai, ma ora come sempre. Ci sono milioni di palestinesi che non vogliono il futuro che i devoti di tutti e tre i monoteismi hanno in serbo per loro).
In ultima analisi, tutto questo non è che un’altra versione, ma eccezionalmente tossica, d’una vecchia storia, per cui vecchi clienti come Noriega e Saddam Hussein e Slobodan Milosevic e i talebani cessano di essere i nostri mostri e diventano mostri per meriti tutti loro. A quel punto, si verifica una crisi morale e politica. Devono forse i “nostri” crimini e peccati passati rendere impossibile espiare il reato con un’azione determinata? Quelli di noi che non sono stati consultati in merito, e non sono vincolati dai precedenti compromessi segreti hanno una speciale responsabilità nel rispondere con un “no” deciso. La cifra dei seimilacinquecento uccisi a New York è quasi l’esatto equivalente del novero totale scoperto nelle fosse della morte a Srebrenica. (E persino a Srebrenica, il demente generale Ratko Mladic accettò di rilasciare tutte le donne, tutti i bambini, tutti gli anziani e tutti i maschi sopra e al di sotto di età militare prima di ordinare le sue squadre di mettersi al lavoro). In quell’occasione, i satelliti degli Stati Uniti volarono, registrando serenamente la scena dall’alto, e Milosevic si guadagnò un invito a Dayton, in Ohio. Ma alla fine, dopo spaventose false partenze e ritardi, ci si accorse che Milosevic era troppo. Non solo troppo cattivo. Era anche troppo irrazionale e pericoloso. Non ha nemmeno salvato se stesso con la menzogna, affermata più volte, che Osama Bin Laden si nascondesse in Bosnia. Va detto che in questo modo, così come con altre menogne e innumerevoli altre atrocità, Milosevic si è distinto come un nemico dell’islam. Il suo regime nazionalsocialista ha assunto una politica verso la teste a turbante che l’Amministrazione Bush è solo accusata, da sciocchi e furfanti, di prendere. Eppure, quando infine ci si oppose a Milosevic, furono Noam Chomsky e Sam Husseini, tra molti altri, che descrissero l’intera faccenda come una persecuzione prepotente contro i serbi! Non ho alcuna esitazione nel descrivere questa mentalità, con attenzione e senza animosità, come tenera verso il crimine e tenera col fascismo. Nessuna coalizione politica è possibile con queste persone e, io sono grato di dire, nessuna coalizione politica con loro è adesso necessaria. Quello che pensano non è più importante.

Settembre 2001

 

 


Traduzione di Edoardo Rialti

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