La lezione di Kevin Spacey, che non confonde realtà politica e finzione

Antonio Gurrado

Stiamo per celebrare i settant’anni dall’introduzione del suffragio femminile in Italia e mettersi al riparo dalla retorica tracimante sarà difficile. Per fortuna che c'è “House of cards” contro il marketing di “Suffragette”.

Stiamo per celebrare i settant’anni dall’introduzione del suffragio femminile in Italia e, con l’incombere dell’anniversario della tornata elettorale del 10 marzo 1946, mettersi al riparo dalla retorica tracimante sarà difficile: tanto più che al cinema è arrivato con felice tempismo “Suffragette”. Il film britannico è ambientato a inizio Novecento, quando le femministe avevano deciso di passare a bombe e sabotaggi visto che le pacifiche sfilate non sortivano effetto. E oggi? Oggi deflagrano solo le dichiarazioni ai giornali. Su Repubblica la protagonista Carey Mulligan assicura che non si tratta di un film sul passato bensì di una storia d’oggi, poiché in gran parte del mondo la lotta per i diritti civili è lungi dal compiersi e perfino nell’insospettabile Inghilterra, sostiene, “c’è una parte sessista della società in tema di salario o di opportunità di carriera”. Soprattutto, Carey Mulligan rivela che “Suffragette” ha cambiato il suo approccio alla politica. Prima del film andava a votare “perché lo facevano tutti”, reputandolo “un dovere al quale non dare particolare valore” e vergando crocette alla leggera anziché pensare “alle battaglie, alla sofferenza, ai sacrifici, alla violenza che le donne hanno dovuto subire per conquistare il diritto di voto”. D’ora in poi, assicura, voterà “con orgoglio e consapevolezza”.

 

Sarà difficilissimo difendersi dalla retorica elettorale femminista – per giunta mentre un’americana è in corsa per diventare la prima presidentessa – ma in nostro soccorso arriva Kevin Spacey. Anche la quarta stagione di “House of Cards” ha avuto tempismo nell’irrompere al culmine delle primarie americane, tanto che la National Portrait Gallery di Washington ha ritenuto opportuno esporre il ritratto di Frank Underwood, protagonista della serie tv e inquilino immaginario della Casa Bianca, di fianco ai ritratti dei presidenti americani realmente esistiti. Parlando al Corriere però Spacey è insorto contro la commistione fra materiale di scena e testimonianza storica: “C’è il mondo della finzione e il mondo reale. Bisogna sempre distinguere lo show dalla realtà che ci circonda. La nostra è finzione; quello che molti non capiscono è che recitare è una professione, è un lavoro, non c’è immedesimazione nel personaggio”. Kevin Spacey quindi non è un machiavellico arrampicatore più di quanto Carey Mulligan non sia una suffragetta fuori tempo massimo – a meno di presupporre che sia particolarmente suggestionabile e che pertanto sia diventata una romantica sciocchina quando recitava in “Orgoglio e pregiudizio”, un’inconsolabile orfana ai tempi di “Bleak House”, un’aspirante suicida con “Shame”, una civettuola giostratrice per “Il grande Gatsby” e per “Via dalla pazza folla”. Meno male che non è stato girato “Rodham”, il biopic favoleggiato per anni in cui la Mulligan avrebbe dovuto interpretare la giovane Hillary Clinton, altrimenti chissà che cortocircuito fra elettorato attivo e passivo.

 

[**Video_box_2**]Kevin Spacey è più drastico. Se proprio deve ispirarsi a qualcuno preferisce Riccardo III, ma al Corriere ha assicurato che “si tratta di due piani distinti; quello che faccio nella finzione non ha niente a che vedere con ciò che penso nella vita”. Confondere i due piani può sembrare consapevolezza ma si chiama marketing; in effetti Spacey avrebbe avuto gioco facile nel piagnucolare che con l’ascesa di Donald Trump la realtà sta superando la fantasia. Ovviamente qualcuno l’ha detto: Robin Wright, che in “House of Cards” interpreta la first lady.

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