Femministe ma razziste?
Le quote rosa in letteratura non bastano più, devono essere anche nere
Chi controllerà che i discriminati non discriminino a loro volta? "Essere una donna non fa di te un'esperta della marginalizzazione di persone di colore o disabili": cruda assai Hannah Ehrlich, direttrice marketing e pubblicità della Lee&Low, la più grande casa editrice americana di letteratura per bambini (sul sito è specificato anche che è "multiculturale"). E, non paga, ha aggiunto che le signore in carriera, quelle emancipate che fanno i briefing e che Vecchioni cantava essere stronze come gli uomini, non per forza combattono, combatterebbero o combatteranno per l'accesso al potere (chiamiamolo emancipazione, è meno antipatico) di terzo sesso, minoranze etniche e varia umanità emarginata.
Pensierini che arrivano a seguito della diffusione, oltreoceano, di un sondaggio che la stessa casa editrice ha condotto per misurare la temperatura delle pari opportunità nel settore e dal quale è emerso che il rosa ariano è la tinta unita del potere di chi fa e scrive libri. Degli intervistati (tra loro anche alcuni della venerata, influentissima Penguin Random House), il 78 per cento erano donne bianche, l'88 per cento donne bianche omosessuali e per il (trascurabile) resto neri, asiatici, ispanici: tutti concordi nell’affermare che il genere sessuale è ancora uno traino decisivo per una carriera. Dopotutto, lo scorso anno, una ricerca del Publisher's Weekly misurò che tra gli stipendi di uomini e donne c'era un gap tipo Death Valley, cioè 20 mila dollari in più per (l'ex?) sesso forte, mentre pochi giorni fa Barack Obama ha detto e scritto che "it's time for equal pay". Tuttavia, i sondaggi servono pure a leggere le percentuali che, nel caso dell'indagine della Lee&Low, palesano come l'editoria americana sia in mano alle donne, ma a un tipo preciso di donne: benestanti, bianche, omosessuali e decisamente poco interessate al multiculturalismo. Quest'ultimo dato non è un'inferenza pregiudiziale o arbitraria: si evince soffermandosi su storie e autori che vengono pubblicati. Lee&Low stima che, negli ultimi diciotto anni, i libri per l'infanzia con un contenuto "multiculturale" non hanno superato il 10 per cento della produzione editoriale. La letteratura non è politica, non può e non deve pretendere quote di rappresentanza: per quanto le ricerche e le rivendicazioni per l'abolizione delle differenze (Giovanni Maddalena, su questo giornale, ha vaticinato l'eliminazione di quella, per decreto, tra uomini e animali) ci escano dalle orecchie, Lee&Low si fa una domanda più importante, più fine. Domanda che, a sua volta, impone a noi di interrogarci su quanto e cosa ci toglie un'egemonia culturale, soprattutto quando contestarla è scivoloso, perché si tratta di un'egemonia erede di una sudditanza che in quel passaggio di eredità ha trovato il suo legittimo riscatto. Sul cosa perdiamo: il confronto con quello che non conosciamo, innanzitutto. Una lacuna incommensurabile, poiché per andare incontro all'ignoto, a chi non è coraggioso (cioè il 95 per cento della popolazione mondiale) serve la letteratura. E, anche, perdiamo la possibilità che tutti coloro che non sono bianchi, ricchi, femmine possano avere una voce e che quella voce scombussoli innanzitutto i bianchi, i ricchi e le femmine.
[**Video_box_2**]Il femminismo posticcio, allora, ha tradito quello originario, inconsapevole com'è del fatto che nelle rivoluzioni "l'origine è la meta" (lo diceva quel cervellone di Karl Krauss), diventando lotta alla differenza da che era lotta per la differenza, ma ha pure tradito il nuovo conio della sua missione, arroccandosi nelle sue conquiste, anziché usarle per dare un megafono ad altri subalterni.
“Donne d’Italia” (Bruno Vespa); “Il ‘900 è donna” (Lucrezia Dell’Arti); “Le nuove signore della scrittura” (Giorgio Ghiotti); “Il cuore nero delle donne” (Autori vari). Sono alcuni titoli di libri pubblicati di recente in Italia. Essendo, questo, un paese dove le sveglie della civiltà suonano invano, di certo non si può nemmeno azzardare l’ipotesi che l’editoria sia in mani femminili, ma, almeno, che le donne siano un filone letterario tra i più commerciali (quindi, prossimo alla noia seriale), possiamo lasciarcelo sfuggire.