La Venere capitolina, una delle statue coperte per la visita del presidente iraniano

Quelle statue nude siamo noi

Claudio Cerasa
Sarebbe fin troppo facile usare oggi un po’ d’inchiostro per ironizzare sull’orrenda figura fatta dal governo sui pannelli bianchi che hanno coperto i nudi di marmo durante la visita a Roma del presidente iraniano Rohani.

Sarebbe fin troppo facile usare oggi un po’ d’inchiostro per ironizzare sull’orrenda figura fatta dal governo sui pannelli bianchi che hanno coperto i nudi di marmo durante la visita a Roma del presidente iraniano Rohani, che con involontaria ironia ieri ha ringraziato di cuore il presidente del Consiglio per il grande senso di ospitalità mostrato dall’Italia. Sarebbe fin troppo facile dar conto del balletto sulle responsabilità e ricordare che, al di là dell’indagine interna di Palazzo Chigi sulle colpe del cerimoniale, non è la prima volta che Renzi va incontro a una scenetta del genere (nell’ottobre  2015, a Palazzo Vecchio, a Firenze un nudo dell’artista Jeff Koons venne coperto con un paravento per non urtare la sensibilità dello sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan). Ciò per cui vale la pena spendere due parole è un dettaglio importante sfuggito a molti osservatori e che lega la decisione di non “provocare” il presidente iraniano all’invito a utilizzare il meno possibile in Francia la kippah per non “provocare” una reazione degli islamisti integralisti.

 


La statua dell’artista Jeff Koons coperta a Firenze


 

Il punto è sempre lo stesso e non si tratta soltanto di una semplice submission culturale ma si tratta di un grande frullatore globale all’interno del quale si trovano gli ingredienti della resa dell’occidente di fronte al fondamentalismo di matrice islamista. Tutto si tiene: si coprono i nudi delle statue per non offenderli, si nascondono i simboli religiosi per non provocarli, ci si chiude gli occhi di fronte agli omosessuali impiccati per non farli arrabbiare, si fischietta di fronte ai diritti delle donne violati per non suscitare una reazione e si accetta di trasformare noi occidentali in statue di marmo in nome di un multiculturalismo scriteriato dove è sempre chi accoglie, alla fine, che deve spogliarsi della sua identità. Capita sempre più spesso ormai di sentirsi nudi di fronte all’islam e capita sempre più spesso ormai, quasi senza accorgersene, di commettere un errore micidiale non ricordandoci, ogni giorno, che la libertà religiosa non è la libertà di lasciare fare tutto agli intolleranti e costringere i tolleranti a nascondersi ma è qualcosa di diverso, di più profondo e radicale. Diceva giustamente George Orwell che la libertà significa avere il diritto di dire alla gente cose che non vogliono sentire e c’è poco da giocare con il cerimoniale, con il rimpallo delle responsabilità, con il sei stato tu no sono stati loro. Il punto è più sottile e un presidente del Consiglio che sogna di sconfiggere il fondamentalismo con la cultura dovrebbe occuparsi meno della paura di offendere l’islam e più della paura che, anche in Italia, religioni e culture declinate in modo intollerante restringano il perimetro delle nostre libertà. Un ebreo che ha paura di essere ebreo e che ha paura di mostrare i simboli della sua fede è la metafora di un occidente al collasso che vive schiavo di un terrore: quello di “provocare”.

 

[**Video_box_2**]Allo stesso modo un paese che ha paura di mostrare la sua identità è un paese che potrà costruire molti campetti da calcio in periferia per sconfiggere il terrorismo ma che a un certo punto dovrà rendersi conto che non si potrà vivere in eterno dicendo agli altri solo quello che si vogliono sentir dire. Le statue nude ci avrebbero potuto aiutare a togliere il velo sulle ipocrisie di un regime come quello iraniano. Le statue coperte ci hanno aiutato a ottenere il risultato opposto: mostrare, semplicemente, le ipocrisie di un occidente che ha paura di mostrarsi per quello che è.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.