Vitaliano Brancati insieme con Anna Proclemer

Riscoprire il piacere di leggere Brancati, fascista comico e distaccato

Alfonso Berardinelli
Le opere dello scrittore siciliano a fine ventennio. Un sicuro discendente di Gogol, che invece di avere sotto gli occhi la Russia e la Pietroburgo della prima metà dell’Ottocento, ha avuto sotto gli occhi la Sicilia e l’Italia del fascismo, prima, e del primo decennio del Dopoguerra più tardi.

Il grande Vitaliano Brancati, nato nel 1907 in provincia di Siracusa ma catanese di adozione, uno degli uomini e scrittori più dotati di umorismo e senso del comico, nonché più portato per istinto alla leggerezza che l’Italia e la sua letteratura abbiano conosciuto, è autore, come tutti sanno, di una serie di prose morali intitolate “I piaceri”. Brancati deve certo aver provato il piacere di scriverle, ma non ha provato il piacere, forse superiore, di poter leggere quello che ha scritto senza neppure la fatica di scriverlo.

 

Se fossi all’altezza (ma non lo sono) scriverei una breve prosa intitolata “Il piacere di leggere Brancati”. Lo conosco bene, questo piacere, perchè l’ho appena provato di nuovo grazie alla raccolta di “Scritti per il Corriere 1942-1943”, ora pubblicati dalla Fondazione Corriere della Sera a cura di Giulio Ferroni, studioso dello scrittore siciliano.

 

Conosco Ferroni da quando, entrambi ginnasiali, avevamo quattordici anni e lui leggeva appassionatamente Nikolaj Gogol. Ora bisogna dire che Brancati è proprio un sicuro discendente di Gogol, che invece di avere sotto gli occhi la Russia e la Pietroburgo della prima metà dell’Ottocento, ha avuto sotto gli occhi la Sicilia e l’Italia del fascismo, prima, e del primo decennio del Dopoguerra più tardi. Direi che il suo geniale talento comico-grottesco e satirico trovò nella società di quegli anni materia più che sufficiente per coltivare una trasfigurante vocazione comica.

 

Brancati fu fascista in gioventù e amico del dirigente fascista catanese Telesio Interlandi, un vero, attivo estremista e precoce antisemita che procurò al ventenne scrittore nientemeno che un incontro personale con Mussolini, avvenuto a Palazzo Venezia il 16 giugno 1931. L’incontro, nonostante l’immancabile, entusiastica emozione del giovane Vitaliano, trascritta in un articolo pubblicato prontamente su “Critica fascista”, dovette avere tutta quella dismisura e anormalità che permette alla vis comica di scoppiare e volare in aria come un petardo di Capodanno. Quando il Duce, che per definizione è l’uomo più grande del regime, gli si avvicina e dice di avere letto una sua pièce, il povero Brancati è colto da una specie di visione mistica: sente che l’Italia tutta sta girando come un’“immensa ruota” intorno all’asse di quel grand’uomo in quella vasta sala. E Mussolini che cosa gli dice? Lo seduce parlandogli di letteratura come un fraterno maestro: “Mi chiede quale metodo io segua per ordinare i personaggi e i particolari, prima della composizione; e mi insegna i metodi di Balzac, di Tolstoi, di Zola, simpatizzando evidentemente con l’opera dei questi colossi, che anche loro muovevano masse sterminate d’uomini”.

 

Comicità obiettiva a parte, il giovane è affascinato. Sente che Mussolini è davvero moderno, nella sua semplicità. Il segno della sua grandezza è che si sente in fondo un artista della politica di massa, mentre promuove quei titani del romanzo moderno a leader carismatici capaci di trascinare, anche loro, prima di lui, grandi masse umane.

 

Già. E’ stato possibile infatuarsi di fascismo o mussolinismo pur avendo come Brancati (o Malaparte o Maccari o Longanesi) un senso del comico tanto spiccato. E’ vero d’altra parte che proprio al senso del comico Brancati deve il suo distacco dal fascismo, distacco mentale e “stilistico” prima che politico. D’altra parte, politicamente, ciò che affascinò nel fascismo tanti giovani è che prometteva di liberarli da un’“epoca di asfissia” e da un mondo in cui “non c’era nulla da fare”.

 

[**Video_box_2**]L’altra cosa che sorprende in questi scritti è che proprio negli anni cruciali della guerra e in prossimità del tracollo del regime, Brancati sia capace di scrivere elzeviri e novelle di una tale felice leggerezza. Ma la cosa che il lettore può notare subito è che i personaggi, le figurine umane che Brancati mette in scena sono in effetti caricature più o meno bonariamente disegnate, sempre comunque sull’orlo della follia. Il genere umano è dunque inspiegabile e impazzisce facilmente. Ci si ama e ci si odia, si riesce o si fallisce, si crede e ci si ricrede, chissà perchè. Nel racconto “Furori di un comico”, il personagio del grande attore Emanuele Rosso, smisurato nella sua enfatica espressività e che alla fine di un pranzo inusitatamente esclamò “E’ finita per me!”, sembra annunciarsi l’imminente 25 luglio e la destituzione di Mussolini. Improvviso, inaspettato esito di una follia sia comica che tragica durata venti anni.

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