Checco Zalone (foto LaPresse)

Ma quanto si lagnano gli intellò e i “registi col posto fisso” per il successo di Zalone. Risate

Mariarosa Mancuso
Ne scrive un vincitore di Premio Strega come Nicola La Gioia, in nome della comune pugliesità. Si scomoda pure Internazionale, che per penna di Christian Raimo decreta “è la critica più corrosiva che mi viene in mente portata all’anima e non alla facies del renzismo”.

Ne scrive un vincitore di premio Strega come Nicola Lagioia, in nome della comune pugliesità. Si scomoda pure Internazionale, che per penna di Christian Raimo decreta “è la critica più corrosiva che mi viene in mente portata all’anima e non alla facies del renzismo”. Ne scrive l’intellettuale Adriano Celentano, anche se fuori dalle canzonette per lui “scrivere” è una parola azzardata: “Una medicina che ci difende e ci rende immuni dalle gravi INFEZIONI che ci procurano le clamorose CAZZATE di un certo cinema internazionale…”, e via così.

 

Checco Zalone ha fatto il pieno, non solo di incassi. Neanche una settimana dopo l’uscita di “Quo Vado?” ha più intellettuali chini sulle sue battute di quanto un regista premiato con l’Oscar possa sperare in una vita intera. I colleghi comici e registi di successo, interrogati da Fulvia Caprara sulla Stampa, abbozzano. Chi calcola “si ride più del dovuto”, chi dice “ha avuto culo perché pioveva”, chi vanta i propri successi a minor budget, chi si lancia in distinzioni tecniche tra la satira e il surreale, chi sbotta “è inutile cercare il pelo nell’uovo” (e noi che pensavamo fossero 22 milioni in tre giorni, deve essere stata un’allucinazione).

 

Mancano all’appello della chiacchiera i registi con il posto fisso: a loro bisognava chiedere un parere, un giudizio, un commento. Succede infatti che in Italia al posto fisso non sono attaccati solo gli impiegati, come racconta il film. Lo vogliono anche i registi, e in parecchi casi lo ottengono. Come possiamo chiamare, se non “posto fisso”, i registi che girano il loro primo film con i contributi dello stato, in sala incassano poco o niente, un paio d’anni dopo vanno a batter cassa per il secondo film? Ottenendo altri soldi, girando un altro film che nessuno va a vedere, e così ben posizionandosi per ottenere il finanziamento per un terzo capolavoro (tanto si sa che il pubblico è becero, va a vedere soltanto i film di Zalone, non c’è più spazio per noi che facciamo cinema di qualità, gli esercenti smontano il film appena dopo una settimana di biglietti non staccati, dura la vita per noi artisti).

 

Sarebbe interessante sapere cosa pensa di “Quo Vado?” la “100autori”, Associazione dell’Autorialità Cinetelevisiva. Leggiamo sul sito: “Conta oggi oltre 500 iscritti ed è presente sul territorio nazionale con sedi strutturate in Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Lazio e Sicilia”. Viene in mente la dottoressa Sironi (Sonia Bergamasco, bravissima, deve darsi alla commedia come Monica Vitti quando lasciò Michelangelo Antonioni) che chiede all’inamovibile impiegato Zalone: “Quale è stato il suo contributo in questi anni?”. Zalone risponde “mettevo timbri”. Noi ricordiamo molti lamenti, e anche uno spot che chiedeva soldi, ma così maldestramente da far venire l’atroce dubbio: “Se mettendosi in cento scrivono e girano così male uno spot, perché dovrebbero far meglio con il loro film?”.

 

[**Video_box_2**]A sentire la rima “il concorso per allievo maresciallo / seimila posti a Mazara del Vallo” vengono in mente le schiere di aspiranti registi che “vogliono esprimersi”: hanno fatto il Dams, quindi ne hanno il sacrosanto diritto. L’impiegato Zalone accumula in dispensa salami e carciofini sott’olio, loro ritagliano recensioni da mettere nell’album. Salvo gridare allo scandalo quando la festa finisce. O stupirsi per gli incassi di chi ha talento, e rispetta il pubblico facendolo ammazzare dalle risate.

Di più su questi argomenti: