Anna Netrebko con l’abito indossato per interpretare Giovanna d’Arco al Festival di Salisburgo del 2013

Scala la prima

Mario Leone
Oggi a Milano va in scena “Giovanna d’Arco” di Verdi. Consigli per non perdersi la storia ancora attuale della santa che ha unito una Francia lacerata

La Milano che si appresta a vivere le “cinque giornate” è una città in fermento, carica di odio verso il nemico austriaco e di crescente desiderio di unità nazionale. Questo clima è rotto dalle note della Giovanna d’Arco che risuonano per le vie della città, diffuse da un organo ambulante. Nugoli di viandanti, attirati, lo seguono cantando. “Tu sei bella tu sei bella! Pazzerella, che fai tu? Se d’amore perdi ’l fiore, presto muore, non vien più. Sorgi, e mira, te sospira la delira gioventù. O figliuola, ti consola, è una fola Belzebù!” (Scena quinta). Versi di rara bruttezza, in realtà, che per qualche settimana diventano una canzone popolare intonata da tutti. Il merito va a Giovanna d’Arco, icona del sacrificio e della libertà, figura simbolo di chi muore per un ideale, immagine presa a pretesto per rappresentare le aspirazioni liberali della Milano di quei tempi.
Il quindici febbraio 1845 il Teatro alla Scala ospita la prima esecuzione della “Giovanna d’Arco” di Giuseppe Verdi su libretto di Temistocle Solera. Un discreto successo secondo la stampa dell’epoca che riserva una particolare attenzione al soprano Erminia Frezzolini, interprete di Giovanna d’Arco, elogiata per le doti fisiche e vocali: “La cantante impareggiabile, l’attrice affascinante, la donna bellissima, che sotto quella candida veste di guerriera, con lo stendardo a fiordalisi serrato sul petto, con quegli occhi profondi e nerissimi che sapevano trovare così bene la via del cuore, sembrava una visione celeste”. Un’opera partorita in pochi mesi da un Verdi esclusivamente interessato agli incassi e al piacere del pubblico. Intento ad accrescere la sua fama, il compositore accetta lavori su lavori, seguendone la realizzazione in tutte le fasi.

 

Ispirato all’omonimo dramma di Friedrich Schiller, “Giovanna d’Arco” risente subito, nella sua genesi, di un discostamento dalla verità fattuale della protagonista. Non si tratta solo del finale (sia nel testo di Schiller che nel lavoro verdiano, Giovanna muore in battaglia e non al rogo), bensì dell’intera struttura narrativa dell’Opera. Il padre di Giovanna diviene qui l’impietoso accusatore della figlia. Lionel, di cui Giovanna s’innamora, è invece eliminato, al pari della figura di Agnes Sorel (amante del re): una scelta, quest’ultima, che rende quasi obbligatorio l’intreccio amoroso tra i protagonisti rimasti, ovvero Giovanna e il re medesimo. Lo stesso Giacomo, padre di Giovanna, passa allegramente dal campo inglese a quello francese senza incontrare particolari resistenze. Anche tutta la vicenda spirituale della protagonista è poco approfondita da Verdi e Solera. Quest’ultimo costruisce un dramma incentrato sulla presunta possessione di Giovanna da parte del maligno. Una posseduta, una vergine intoccabile che da un lato ricorda alcuni soggetti della letteratura neogotica, dall’altro si erge a paladina di valori umani e trascendenti. Nonostante il buon successo della “prima”, i pareri sull’opera risultano discordanti e lo stesso Solera accusa l’editore Ricordi di non aver creduto all’originalità del soggetto individuato. Ne verrà fuori un acceso scambio di missive tra Verdi, Solera e Giovanni Ricordi che minerà non poco i loro rapporti.

 

Alcune scelte del libretto e musicali appaiono deboli, tuttavia è ingiusto considerare quest’opera minore o poco riuscita. Lo stesso Verdi, in una lettera a Francesco Maria Piave, la considera la migliore delle sue opere senza eccezioni e dubbi. A trent’anni, alla sua settima opera, il compositore ha maturato uno stile riconoscibile, un vocabolario musicale a cui si rifà costantemente: ritmi quadrati e sostenuti anche negli andanti, melodie ampie basate sul salto di sesta ascendente e poi dalla scala discendente per gradi congiunti e una armonia semplice. Un’orchestrazione espressiva e una continua corrispondenza tra caratteri psicologici e vocali. Per alcuni aspetti la Giovanna d’Arco potrebbe anche essere definita sperimentale. Si pensi alla continua ricerca di diversi piani sonori che possano rappresentare il sublime e il grottesco oppure al tentativo di caratterizzare ciò che è reale rispetto a ciò che è soprannaturale. Alcune scelte compositive annunciano soluzioni che ritroveremo in opere future. La marcia del secondo atto (“Dal ciel a noi chi viene”) sarà ripresa sia nel Don Carlo (scena dell’autodafé) sia nella Marcia trionfale dell’“Aida”. Lo stesso Don Carlo non è altro che un approfondimento musicale e psicologico di Carlo VII. Il rapporto padre/figlia sarà ripreso nel Rigoletto. La battaglia del terzo atto si ritroverà ne La forza del destino. Così la scena delle streghe di Macbeth o al Dies Irae del Requiem, tutte già “ascoltate” nella Giovanna.

 

[**Video_box_2**]Dopo la “prima”, la Giovanna d’Arco calcò di nuovo le scene della Scala nel 1865. Nulla più sino a lunedì sera prossimo, il 7 dicembre. Centocinquant’anni di silenzio nel Teatro milanese fanno di questa recita quasi una nuova prima. Insidioso il compito per tutto il cast. Dal punto di vista vocale l’opera richiede degli interpreti che siano dei virtuosi della voce. Interpretare la Giovanna D’Arco è una delle sfide più ardue che un soprano possa porre alla propria ambizione d’artista e di cantante. Anna Netrebko sembra incarnare al meglio la voce e “la presenza scenica” in grado di affrontare le insidie musicali e “loggionistiche” della prima scaligera, potendo ben competere con le esecuzioni ormai storiche della Renata Tebaldi e di Montserrat Caballé (quest’ultima insuperata, a nostro parere). Sarà molto interessante vedere le scelte della regia. Da Moshe Leiser e Patrice Caurier ci si augurano soluzioni che non stravolgano il significato intrinseco dell’opera verdiana, della sua eroina e dell’opera ispiratrice. Le dichiarazioni della vigilia non sono state delle più felici: “La storia di Giovanna e del jihad hanno tante affinità. Di là c’è il cattolicesimo, di qua l’islam, ma la filosofia è la stessa. Oggi il fanatismo religioso e il nazionalismo distruggono l’Europa e noi sentiamo la responsabilità di raccontare questa storia di follia, questo desiderio di sangue per la glorificazione di Dio”. Non è così. Giovanna d’Arco, patrona di Francia, ha avuto pietà della miseria del suo tempo: una Francia lacerata e incerta del proprio destino. Mentre si accinge alla guerra a Vaucouleurs, dice: “Preferirei piuttosto filare accanto alla mia povera madre, perché questo non è il mio mestiere”. Una donna diventata santa non perché arsa viva e nemmeno perché vergine: ma soltanto perché, come direbbe Charles Péguy, si è abbandonata allo sguardo di Dio, “più del fuoco che n’arde e ne scuoia, più che il buio di notte crudel, n’è tormento d’un’alma la gioia, n’è supplizio il trionfo del ciel”. Sipario.

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