"Bella e perduta", di Pietro Marcello

Film belli, non importa se già visti. Cosa non perdere se in questi giorni diete dalle parti di Torino

Mariarosa Mancuso
"Faccio film per me, non per gli spettatori”. Pietro Marcello dixit, al Festival di Locarno. E noi non dimentichiamo mai un’offesa.

"Faccio film per me, non per gli spettatori”. Pietro Marcello dixit, al Festival di Locarno. E noi non dimentichiamo mai un’offesa. Rinnovata ora dalle recensioni che celebrano il suo film “Bella e perduta” (pre-apertura del Torino Film Festival lo scorso mercoledì, dall’altro ieri nelle sale) come il capolavoro di cui il cinema italiano urgentemente necessitava.

 

Poesia pura: è il grado zero degli elogi letti in giro. Qualcuno aggiunge le stimmate “antinarrativo e ostile al mainstream”. Ecco la misura di quel che vi toccherà, se cedete alle lusinghe. Noi ricordiamo un numero spropositato di Pulcinella, un bufalo parlante di nome Sarchiapone, il volontario che bada della Reggia di Carditello. Non in quest’ordine: il guardiano era intervistato per un documentario, ma morì in corso d’opera, il film venne spostato sul suo bufalotto adottivo – non danno latte, quindi sono inutili – nella Terra dei Fuochi che aggiunge all’enfasi lirica l’impegno civile. Mentre scriviamo, vorremmo rimangiarci ogni parola gentile spesa per “La bocca del lupo”, primo documentario del regista (casertano, classe 1976).

 

L’apertura vera, il 20 novembre, aveva “Suffragette” di Sarah Gavron, con Carey Mulligan e Meryl Streep nelle gonne lunghe della madre superiora Emmeline Pankhurst. Un film che non fa maledire l’invenzione del cinema, e neppure fa passare la voglia di entrare in una sala, a meno che tre persone di nostra fiducia non garantiscano la bellezza del film (tra quelli ancora in sala, appartiene alla categoria degli imperdibili “Tutto può accadere a Broadway” di Peter Bogdanovich).

 

Diretto da Emanuela Martini – che come una suffragetta ha eroicamente combattuto per il comando, prima era uso affiancarle un regista maschio – il Torino Film Festival ha da sempre la struttura quest’anno adottata dal Festival di Roma (pellicole italiane a parte, dove entrambi devono pagar pegno alle bufale). Titoli belli, non importa se già in programma ad altri festival: per loro c’è la sezione Festa Mobile, che li distingue dal concorso a Torino ancora in vigore. Come è ancora in vigore – e fa una gran tenerezza – il Premio Cipputi, per il film che racconta il mondo del lavoro. La differenza con Roma, è che a Torino la gente si mette in fila per comprare i biglietti.

 

[**Video_box_2**]Se siete a Torino o dintorni, non andrebbe perso “Tangerine” di Sean Baker, sulla wild side e le sottoculture di Los Angeles. Non andrebbe perso “The Lady in the Van” di Nicolas Hytner: la storia vera di una barbona – sorpresa, è Maggie Smith in libera uscita da “Downton Abbey” – che elesse a sua dimora un furgone parcheggiato davanti alla casa del drammaturgo Alan Bennett (potenza del politicamente corretto: prima non pensò di  scacciarla e poi non ci riuscì). Non andrebbe perso “Comoara Treasure”, di Corneliu Porumboiu: caccia a un tesoro seppellito in Romania dai comunisti.