Gli attentati di Parigi e i nostri vuoti da colmare con lacrime da soap opera

Stefano Sgambati
Le ultrasemplificazioni giornalistiche sulle stragi di questi giorni sono la sconfitta di qualsiasi tentativo ragionato di spiegare la realtà

Giorni atroci, stanze di case illuminate dagli schermi dei televisori. Canali “all news”. Si cena senza guardare nei piatti. Una bulimia informativa che non informa: mostra. Emoziona. Il loop degli inviati sul posto diventa un non-sense molto presto, come una parola ripetuta ad alta voce all’infinito. I media televisivi hanno fallito? Mantengo un contegno ma vorrei scagliare la forchetta verso lo schermo e urlare: “Un contenuto, vi prego!”.

 

Su SkyTg24 una figura vagamente umanoide, tipo Muppet Show, con la testa mascherata secondo l’estetica di Anonymous, la voce doppiata con le singole parole campionate, le mani fuori sincrono rispetto al senso delle frasi e un fondale in computer grafica occupa lo schermo per circa trentacinque-quaranta secondi. Dice: “Staneremo i terroristi. Noi li troveremo”. Lo ripropongono per tre o quattro edizioni. Poi scompare. Ecco quand’è che i fatti di Parigi si trasformano, nemmeno in un action movie ma in una rappresentazione di un action movie, cessando di essere reali.

 

Desemantizzazione, vox populi, edizione dopo edizione, un canale via l’altro: Parigi che piange, Parigi che reagisce, Parigi™, stand-up imbarazzanti di inviati in sollucchero da foie gras incapaci di dare un’informazione-una in decine di collegamenti; un lessico del dolore a cui pensavo di essermi abituato dopo le tragedie greche ormai dimenticate, e invece no, le stesse parole, perfino gli stessi verbi, le identiche locuzioni, le pause, identici occhioni umidi in stile manga, la complessità ridotta a piattume. Non un’analisi politica, economica, finanziaria, sociologica. Mai. Nessun azzardo. La reiterazione del concetto che “c’èstatounterribileattentato”, il parallelismo con “altriterribiliattentati”, l’undici settembre di Parigi, il conto dei morti, il conto dei morti, il conto dei morti più i morti italiani, i numeri dei bossoli, i primi piani sulle vetrine infrante, altri stand up da un luogo che è Parigi ma che potrebbe anche essere Cinisello Balsamo; tutti indicano con dita tremanti che da lì i terroristi sono arrivati, che lì sono andati. Ma i terroristi chi sono? Perché?

 

I discorsi dei potenti. Le facce di circostanza. Ma che cosa dicono davvero? Quali sono le loro responsabilità? Quali erano le loro posizioni un anno fa? Un altro loop “desemantizzante”. La realtà che mano a mano perde di significato, di potenza. “Imagine”, Bono Vox, Madonna e i bombardamenti su Raqqa. Sento mia moglie inspirare d’angoscia davanti al profilo numero mille della povera ragazza italiana morta, ex volontaria di Emergency. La capisco: è terribile. Ma vorrei dirle, e non ci riesco per mia incapacità, che non sta più piangendo per qualcosa che ha a che fare con Parigi, col terrorismo, le politiche d’integrazione o le minoranze curde; ma sta piangendo come si piange davanti a un film con Tom Hanks e Meg Ryan.

 

Una telegiornalista a mezzo busto pronuncia queste letterali parole: “Alla luce di quanto è successo cambierete le vostre abitudini?”, per poi lanciare un sondaggio a pagamento. Di nuovo la voglia di urlare, come Moretti urlava a D’Alema ma senza D’Alema: “Di’ qualcosa. Qualcuno dica qualcosa”.

 

[**Video_box_2**]L’illusione di poter assimilare un fatto in pochissimi passi, impiegando scarso tempo e poche risorse, è l’equivalente di bearsi di un bel panorama disegnato sul vetro della finestra. È umano, ma è un abbaglio e bisogna combatterlo: bisogna infrangere quella finestra. Si tratta del nostro costante bisogno di consolazione, un vuoto da colmare (o un pieno da svuotare) che irrora l’immaginario umano di didascalie. Spiegare attraverso l’emozione immediata anziché l’argomentazione. C’entra anche la paura, naturalmente: la preoccupazione che “pensare” possa spalancare una voragine su un universo di senso che non vorremmo approfondire. Per questo ogni fatto destabilizzante di portata globale sembra trascinarsi dietro un corredo emotivo empatizzante a innesco istantaneo, piuttosto che l’azzardo di un’indagine argomentata.

 

Obama a colloquio con Putin, la Fontana di Trevi a lutto e l’intervista alla ragazza italiana “scampata alla strage”: i suoi occhi inquadrati a lungo descritti in voice over “da cerbiatto”.

 

In studio un opinionista sentenzia: “Calma e gesso”. Ma poi non spiega perché.

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