Concerto di Marilyn Manson a Stoccolma (foto LaPresse)

Marilyn Manson e Sollecito, due poveri diavoli

Giulia Pompili
Cortocircuito. Da una parte, un vecchio signore della musica rock che non fa più notizia da un po’, dall’altra la vittima-simbolo di un processo mediatico che continua a finire sui giornali: pure per la musica che ascolta.

    Cortocircuito. Da una parte, un vecchio signore della musica rock che non fa più notizia da un po’, dall’altra la vittima-simbolo di un processo mediatico che continua a finire sui giornali: pure per la musica che ascolta. E’ già di per sé curioso che, il giorno prima della visita a Firenze di Papa Francesco, Marilyn Manson sia salito su un palco e abbia tenuto un mega-concerto nel capoluogo toscano. Ma a fare notizia non è stato l’evento in sé, quanto il fatto che Manson abbia deciso di celebrare la sua presenza su suolo italico bruciando sul palco una Bibbia. In perfetto stile Marilyn Manson.


    “Il reverendo”, lo ricordiamo per chi abbia rimosso, è il cantante che negli anni Novanta tentò la carriera da provocatore utilizzando tutti i cliché da rockstar maledetta, lasciando però in eredità ben poco di nuovo a parte qualche rumorosissima canzone che lo identificava (The beautiful People, Rock is dead, The Dope Show ecc). Insomma, niente che non avessimo già sentito o visto (nel 1992 Sinead O’Connor, ospite al Saturday Night Live, strappò in diretta una foto di Papa Giovanni Paolo II – gesto per cui si scusò qualche anno dopo – e per quanto riguarda i “sacrifici animali” che si diceva Manson facesse sul palco, ci era già arrivato Ozzy Osbourne nel 1982, quando durante un concerto in Iowa staccò la testa di un pipistrello a morsi). Il suo stesso pseudonimo è una crasi tra il nome della Monroe e il cognome del famoso criminale Charles Manson, l’effetto provocatorio era già piuttosto facilino pure all’inizio degli anni Novanta. Ma sono in particolare i temi religiosi a far parte dell’immaginario mansoniano, che nel 1994 dichiarò di essersi unito alla chiesa di Satana e nel 1996 pubblicò un disco che si chiama Antichrist superstar. Con la sua band ha venduto oltre 50 milioni di dischi, quando programmava un concerto era un polverone di polemiche e tentativi di censura da parte dei gruppi cristiani, che non hanno quasi mai avuto la meglio. Poi, lentamente, il fenomeno del reverendo americano del male è andato addormentandosi. Quindi oggi ci sarebbe da ridere pensando a un signore che ormai ha quarantasei anni, che tenta ancora di far notizia bruciando le Bibbie sul palco, che non sa più che inventarsi per restare fedele al personaggio che era già vintage, quanto a rock e satanismo, vent’anni fa e che oggi fa a cazzotti con la contemporaneità. Pure la sua: Manson ha appena pubblicato The Pale Emperor, che è il suo disco più blues e commerciale, e non a caso è considerato uno dei suoi miglior dischi,  e in un’intervista di qualche mese fa a Rolling Stone dice che “Quella versione da circo di Marilyn Manson è evaporata via”. Col cavolo: l’industria musicale non perdona i passi indietro.


    Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse anche una punta di tragico in tutto questo. Le cose sono cambiate, dagli anni Novanta. In un periodo in cui si uccide per delle vignette sull’islam, la provocazione del “reverendo” che sale sul palco nella stessa città a poche ore di distanza dal Papa e brucia le pagine di una Bibbia, non può non far pensare ai morti ammazzati per davvero, bruciati, loro, perché costretti a rinnegare la propria fede. Manson è soprattutto fuori tempo.
     

    Ah, ieri al concerto di Marilyn Manson c’era pure Raffaele Sollecito. Accusato e assolto con formula piena per l’omicidio di Meredith Kercher, Sollecito ha avuto l’ingenuità di scrivere su Facebook che non vedeva l’ora di sentire Manson dal vivo. Ovviamente autorevoli siti d’informazione si sono sentiti in dovere di dar conto della “notizia”, suggerendo la facile equazione tra il sacerdote del male della musica, Manson (che fu accusato anche di aver provocato la strage di Columbine), e il ragazzo che non riuscirà mai a farsi assolvere dal processo mediatico.
     

    • Giulia Pompili
    • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.