Il regista italiano Gabriele Muccino (foto LaPresse)

Muccino ha i titoli per parlare di Pasolini, quindi basta polemiche inutili

Stefano Sgambati
Il fatto è che gente come Gabriele Muccino e Fabio Volo hanno diritto di parlare di cinema e di letteratura più di tutti noi messi insieme, commentatori, “aspiranti” scrittori, nel senso che ancora un po’ e c’è la canna del gas, o “promettenti” scrittori, nel senso che dovrebbero “promettere” di non scrivere mai più

Volendo restare nella metafora letteraria, non volendo uscire dal sostrato evocativo che entro ci rugge, si può dire che mai è esistito un mare meno dolce in cui naufragare che quello dell’internèt.

 

Italiani! Popolo di navigatori santi poeti eccetera: io so, ma non ho le prove, che l’indignazione globale contro l’inviso regista contemporaneo, colpevole di successo all’estero, nemmeno stavolta impedirà al suo prossimo film di sbancare al botteghino anche in Italia, né comunque, pur col bene che vi voglio, riesco a immaginarvi, o italiani navigatori santi poeti eccetera, ingannare l’attesa della fila davanti al cinema rileggendo “Petrolio” con espressione nostalgica.

 


Pier Paolo Pasolini


 

L’anniversario della morte del poeta che tifava per i poliziotti è ormai un appuntamento immancabile anno dopo anno, come la festa de’ noantri a Roma, il Festival di Sanremo o la “Ghigliottina” de L’Eredità la sera alle 19,45 precise cascasse il mondo: un orgoglio patriottico a cui il popolo intero spinge per aderire. Undici mesi e trenta giorni a mollo nell’analfabetismo più grottesco e giusto giusto ventiquattrore passate col “Secolo breve” sotto l’ascella. Viene voglia di recedere dal diritto di essere italiani. A parte il fatto che Muccino potrebbe e dovrebbe poter dire ciò che meglio lo aggrada, soprattutto se è a gratis sul proprio profilo di Facebook, nulla riesce a togliermi dalla testa che se il Contemporaneo avesse detto del Classico tutto il bene possibile, si fosse cioè unito alla magnificazione autistica globale del Mostro Sacro, all’improvviso i titoli per parlarne li avrebbe avuti eccome; pur con qualche facile ironia, certo, perché Muccino è sempre Muccino e la colpa per averci convinto che Stefano Accorsi sia un grande attore la dovrà scontare per sempre, ma li avrebbe avuti.

 

[**Video_box_2**]E li avrebbe avuti a maggior ragione se non fosse stato Muccino a parlare ma un qualche altro regista cosiddetto “indipendente”, semmai un po’ sfigato, con le Superga sfilacciate ai piedi anziché le Vans senza calze: Carmelo Bene poté dire peste e corna non solo del PPP regista ma anche del PPP poeta, però era Carmelo Bene, qualsiasi cosa significhi, cioè un “topos” di intelligenza e conoscenza, e perciò era ok. Al massimo erano beghe tra pari, camorristi che “si ammazzano tra di loro”. Muccino, come Fabio Volo per la letteratura, è considerato un impostore da chi farebbe – ma non lo ammette – a cambio con la sua vita o carriera domani mattina e perciò diventa scomodo che quasi quasi gli ci vuole la scorta. Popolo di santi navigatori poeti eccetera e pure di subalterni: il fatto è che Muccino e Volo hanno diritto di parlare di cinema e di letteratura più di tutti noi messi insieme, commentatori, “aspiranti” scrittori, nel senso che ancora un po’ e c’è la canna del gas, o “promettenti” scrittori, nel senso che dovrebbero “promettere” di non scrivere mai più; ma hanno anche più titoli di te, Fedele Lettore o Lettrice, fedele, certo, a quel libro o due al massimo che leggi all’anno, (quest’anno chi hai scelto, a proposito? L’ultimo di Ligabue o della Dandini? Sarai tu poi a pubblicare un post indignatissimo sul tuo blog letterario in cui incolperai l’editoria “tradizionale” di fare schifo?), e questi titoli se li sono guadagnati sul campo, girando film in America con attori pluripremiati o vendendo libri in tutto il mondo: frequentando, cioè, un ambiente professionale ad altissimo livello e sviluppando ipso facto una competenza specifica.

 

È vero: nessuno di loro “ha fatto il Novecento”, ma la stanca retorica di usare i nomi “pop” moderni come modelli esemplificativi per spiegare una fantomatica “crisi” culturale deve finire. Il concetto per cui “vendere milioni di copie” o “sbancare al botteghino” non c’entri nulla con la letteratura o col cinema (sbadiglio) è proprio ciò che ha spedito la cultura italiana dritta nell’elenchino dei mestieri relegati a hobby. Vendere, generare quindi un indotto con la propria opera, significa per quell’autore poter vivere esclusivamente di quello, quindi poter scrivere opere migliori. Non è un’infamia e non è una lode. È solo ciò che è.

 

Asserire che Muccino e Pasolini, ebbene sì, fanno lo stesso mestiere, così come lo fanno Fabio Volo e Sciascia, è un moto di libertà che qualche volta vi dovreste concedere, o popolo di santi navigatori poeti eccetera, fosse anche solo come hobby visto che comunque il romanzo che state scrivendo non venderà più di duecento copie.

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