The Walking Dead è solo una serie sugli zombie?

Giulia Pompili
Una delle serie tv più pop – inteso esattamente come abbreviativo di popolare – è senza ombra di dubbio The Walking Dead. Che lungi dall’essere considerata una serie tv “capolavoro”, è nata e si è sviluppata invece proprio come un lungo divertissment a metà strada tra il survivor e lo zombie-horror.

Una delle serie tv più pop – inteso esattamente come abbreviativo di popolare – è senza ombra di dubbio The Walking Dead. Che lungi dall’essere considerata una serie tv “capolavoro”, è nata e si è sviluppata invece proprio come un lungo divertissment – inteso esattamente come qualcosa che vuole piacere al pubblico – a metà strada tra il survivor e lo zombie-horror. Nessuna velleità culturale né tantomeno educativa, insomma, a vederla con occhi poco attenti. Eppure, è già capitato di notarlo per altre serie tv, è spesso nell’insospettabile confezione pop che si nascondono messaggi inattesi. E in poche scene e con un paio di dialoghi si spiegano con efficacia problemi internazionali, crisi globali, difficili contesti come nemmeno a leggersi un approfondimento del New York Times.

 

Prendete una puntata della sesta serie, appena andata in onda su Fox. Sembra nulla, invece butta lì un’idea parecchio attuale sul ruolo della religione nella società. Nella cittadina di Alexandria, appena liberata dagli zombie, lo spazio è poco. Ma succede che alcuni cittadini vorrebbero usare un edificio per farci una chiesa. Non sarebbe meglio farci altro? Ecco centrato, senza parere, un tema di stretta attualità, in un mondo in cui tanta gente le chiese preferisce abbatterle: c’è spazio per la fede? E solo per una? O per quante?

 

Ma andiamo con ordine. Ideata dal regista Frank Darabont e prodotta dalla Amc, la serie ha cambiato tre showrunner fino a oggi. La trama però è sempre la stessa, basata sull’omonima serie a fumetti di Robert Kirkman: la vita in uno scenario post apocalittico in cui i morti mangiano i vivi. Ed è perfino troppo facile scomodare "Il signore delle mosche" di William Golding, perché a parte alcuni inciampi e cadute di stile dovuti alla lunghissima produzione (dura da sei stagioni), The Walking Dead investiga con efficacia la trasformazione della struttura sociale umana, capace di regredire a forme totalmente primitive in caso di necessità. (E forse anche per questo, dentro la cornice pop, la serie piace).

 

Nel corso delle stagioni, i protagonisti-sopravvissuti dimostrano spesso la loro volontà di mantenere uno stato per così dire umanizzato, per esempio seppellendo i morti-non-ancora-zombie. Un aspetto più spirituale, poi, giunge con l’ingresso nel gruppo di un altro sopravvissuto, un prete in crisi con la fede per aver mandato al macello i suoi fedeli, che poi però espia le sue colpe e ritrova Dio. Ma nella seconda puntata  della sesta stagione di cui vi stiamo raccontando, gli sceneggiatori fanno un passo in avanti. Alexandria è la cittadina fortificata e libera dagli zombie dove vive la comunità di sopravvissuti. Il ritorno alla quotidianità, lontana dalla vita di pura sopravvivenza, fa scattare tra gli abitanti un istinto innato: ricreare le condizioni di socialità di prima della crisi. Il dialogo tra lo scienziato e una ragazza del gruppo è illuminante: “Il mercato immobiliare dentro la zona fortificata è insufficiente, e la maggioranza delle persone vorrebbe trasformare l’edificio più grande che abbiamo in una chiesa? Perché non utilizzarlo per un laboratorio?”. La ragazza sorride: “Forse si potrebbe usare a turno, fare le cose in giorni differenti”, lasciando intendere che, comunque, se la maggioranza vuole la chiesa, la chiesa si farà. E’ indicativo che Scott M. Gimple, showrunner della serie tv, abbia scelto come luogo di culto una chiesa cristiana. Di questi tempi, sembra quasi un messaggio politicamente scorretto. Ed è anzi strano che nessuno si sia ancora alzato per indire un boicottaggio nei confronti della serie zombie, colpevole di non aver rispettato i diritti di tutti altri, dei sopravvissuti islamici, scintoisti, neobuddisti, pastafariani.

 

[**Video_box_2**]Del resto, non è la prima volta che qualcuno coglie tra le righe “divertenti” della serie The Walking Dead addirittura un riferimento (una metafora?) alla condizione dei cristiani variamente perseguitati. Da idee un po’ totalitarie o da zombie in carne e ossa. Christian Today ha ripreso qualche giorno fa un articolo di Mikaela Kate, scrittrice e life-coach americana, pubblicato su Charisma news. Nel commento, la Kate dice che il gruppo dei sopravvissuti deve scegliere ogni giorno se combattere l’uno contro l’altro, o combattere insieme contro il nemico comune. Nel loro caso sono gli zombie, ma fuori dalla fiction, per la chiesa, il nemico è il demonio in persona.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.