Padri, profeti, trentenni e smartphone

Piero Vietti
Il vuoto esistenziale, le promesse della tecnologia e il desiderio di ideali per cui vivere. Tutta colpa dell’iPhone? No, questo vuoto esistenziale viene prima del suo riempitivo (la tecnologia). Lo si capisce bene leggendo l’ultimo libro di Dave Eggers, uscito un anno fa in America e da poco in Italia per Mondadori.

Ci sono alcuni equivoci di fondo, nell’appassionante dibattito sul nostro rapporto con la tecnologia che a ondate finisce su giornali, siti, tweet e nelle conversazioni a cena o alle macchinette del caffè, complici ricerche scientifiche, saggi o romanzi come quello un po’ nichilista di Michele Serra, in cui un protagonista trentaseienne si muove in un presente senza futuro accerchiato da gente che passa il proprio inutile tempo sugli egòfoni senza riuscire a combinare qualcosa nella vita. Ieri sul Giornale Vittorio Feltri elogiava il libro di Serra per la capacità di raccontare “il disagio di fronte alla modernità”, spiegando che le sue riflessioni “valgono sempre e per tutte le generazioni”.

 

Ma qui sta il primo equivoco della faccenda: siamo davvero sicuri che i trenta-quarantenni di oggi si sentano a “disagio di fronte alla modernità” che smartphone e web hanno portato? Davvero un ventenne pensa ci sia una differenza tra “vita reale” e “vita virtuale”, o dovremmo deciderci a fondere queste due definizioni una volta per tutte?
Quello che nell’esperienza comune sono in molti a osservare è il succo della giusta riflessione di Feltri: la vita è vuota, tanto che basta un telefonino per riempirla. Il rischio però è che lo smartphone in sé sia visto come il colpevole finale della nostra alienazione e della difficoltà a vivere il presente, ma anche lo strumento con cui riempiamo il vuoto di cui è fatto lo stesso presente.

 

Tutta colpa dell’iPhone? No, questo vuoto esistenziale viene prima del suo riempitivo (la tecnologia). Lo si capisce bene leggendo l’ultimo libro di Dave Eggers, uscito un anno fa in America e da poco in Italia per Mondadori. Il titolo è un versetto del profeta Zaccaria: “I vostri padri, dove sono? E i profeti, vivono forse per sempre?”. Il romanzo è un dialogo continuo tra il protagonista, un trentaquattrenne di nome Thomas, e alcune persone che lui rapisce e rinchiude in una base militare abbandonata da anni. Il protagonista non vuol fare loro del male, solo interrogarli su vicende del suo e del loro passato per poter fare chiarezza sul fallimento della sua vita. Sono figure emblematiche della storia americana e di quella personale di Thomas: un astronauta che per poco non è salito sullo Shuttle, un politico reduce del Vietnam, sua madre, un professore accusato di molestie ai tempi della scuola da Thomas, una ragazza che lavora presso l’accettazione dell’ospedale in cui è morto un suo amico, un poliziotto coinvolto in una sparatoria.

 

Che mondo hanno lasciato alla sua generazione? Un mondo in cui nessuno lotta più per quello in cui crede, e in cui la mediocrità guida le scelte delle persone. Non è la solita tiritera sulla fine dell’american dream o la crisi dei valori, però, Eggers pesca più in profondità: senza un ideale grande la vita perde gusto, dice, e pensare di essere “sani e salvi” solo perché nessuno ci ha fatto del male “è la cosa più triste che abbia mai sentito”. Dateci qualcosa per cui valga la pena vivere, chiede Thomas. La generazione “di mezzo” non si riempie la vita con il telefonino, semmai di quello che il telefonino promette e permette. E forse controlla così spesso i propri smartphone perché ha la segreta speranza che ogni messaggio sia quello decisivo.

 

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  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.