La cantante Fiordaliso

Dall'omosessualità alla menopausa, c'è un (ridicolo) orgoglio per tutto

Simonetta Sciandivasci
Vampe e ritenzione idrica esibite come trofei moderni

    "In questo esatto momento sto avendo una vampa”. Non è la trascrizione di un’intercettazione telefonica (qua c’è un certo interesse a restare in una incontestabile legalità), ma la boutade rompighiaccio con cui Fiordaliso – quella che, bellissimi e fortunati anni fa, cantava di non voler la luna e di cercare l’amore per non morire – ha esordito ai microfoni di radio27, la stazione radiofonica de La27esima ora, il blog rosato di Corriere.it, durante la trasmissione #iltempodelledonne. Nonostante la vampa improvvisa, Fiordaliso è riuscita, a margine di un incontro dedicato alla menopausa (evento curato da Io Donna; a parlare c’erano Nancy Brilli, Candida Morvillo, una sessuologa e lei), a dire che: convive con un chihuahua, non è mai stata più felice, viva le patatine, viva la cioccolata, viva la menopausa e – “la frase più coraggiosa che io abbia mai sentito”, l’ha esortata Silvia Turin, che l’intervistava – viva la mancanza di voglia di fare l’amore, con notazione sessualmente corretta e/o excusatio non petita: “non lo dico contro gli uomini, loro sono i miei migliori amici”.

     

    La “menopausa felice” che inonda di luce la nuova esistenza di Fiordaliso è un’Arcadia che esiste davvero e che, stando non solo a lei ma pure all’intento dell’incontro (cioè eliminare “l’ultimo tabù femminile” e renderlo motivo di orgoglio, perché la specificità di una donna è fatta di tante micro-specificità, meritevoli di una bandiera – o almeno un convegno – tutto per sé), è necessario raccontare e promuovere per sensibilizzare sul fatto che quel “meno” dentro la parola menopausa può diventare un segno più. Il calo del desiderio (anche su questo Fiordaliso è stata chiara: prenderebbe il viagra femminile solo se Brad Pitt la implorasse di andare a letto con lui); le vampe; gli sbalzi d’umore e la ritenzione idrica non devono essere avvertiti come un tracollo. In “Paura dei Cinquanta” (1994), Erica Jong scriveva: “La stupefacente energia della donna postmenopausa (promessa da Margaret Mead) è presente, ma l’ottimismo per alimentarla non c’è”. Ventuno anni dopo, quell’ottimismo ha avuto a stento il tempo di far capolino: è stato immediatamente arruolato nell’ennesima sfilata sulla passerella dell’orgoglio – che deriva da una cosa precisa, cioè non sentire la mancanza dei maschi – anzi del pride, dove abbiamo già visto sculettare quello per razza; squadra; identità, genere, gusto sessuale; grassezza; magrezza; biondezza; per essere stati capaci di fare i monsignori mantenendo una relazione omosessuale stabile.

     

    [**Video_box_2**]C’è un orgoglio per tutto, se nel tutto si vuol essere inclusi ma non assimilati, piuttosto contemplati, distinti e tutelati nella differenza, che significa – o arriverà a significare – essere giustificati/assolti per quella differenza.

     

    Vivere la transizione che la menopausa comporta, allora, non sembra possibile senza un rinforzo di #pride, quello dell’appartenenza un po’ squadrista e un po’ guascona che serve per sentirsi immutabili, invincibili. “Ma che sciocca sei a parlar di rughe, a parlar di vecchie streghe, meno bella certo non sarai”, cantava Battisti. La canzone era “Prendila così”, l’anno il 1978: le donne si sentivano indebolite dall’avanzare del tempo, piangevano per i capelli bianchi, perché gli ormoni impazzivano e crollavano tra le braccia degli amici e degli amanti, che delle loro debolezze s’innamoravano tanto da scriverne nei dischi che avrebbero canticchiato le ragazze, le mamme, le nonne. Chissà chi ispireremo noialtre, eburnee fortezze inorgoglite, autarchiche impassibili matrone: forse nessuno, ma tanto di nessuno avremo bisogno. Pare si viva benissimo anche solo con un chihuahua.