La cravatta e cosa ci serve per capire di essere lontani dal lavoro

Simonetta Sciandivasci
Robert Peston, redattore economico della BBC, è stato criticato per essersi presentato davanti alle telecamere senza questo accessorio: "L'idea che questa faccia di me un giornalista affidabile è una follia", ha detto. Ma indossarla è importante, significa potersi godere, una volta tornati a casa dall’ufficio, la confortevolezza del non averla.

    "L'idea che una cravatta faccia di me un giornalista affidabile è una follia". Robert Peston, redattore economico della BBC, si è difeso così dalle critiche che gli sono piovute addosso per essersi presentato davanti alle telecamere senza cravatta (e, conseguentemente, con villosità pettorale in bella vista). "Le convenzioni televisive sono facezie", ha sentenziato - usando, per facezie, "nuts", cioè noccioline (la lingua inglese è stupenda: in un baleno rimarca quanto siamo diversi dalle scimmie, per le quali le noccioline sono un valido motivo per distruggere gli abitacoli delle macchine). L'Inghilterra, che pur non avendo dato i natali ad Aristotele, porta ancora alto il vessillo dell’inscindibilità di forma e sostanza, sta discutendo la questione, con la tipica animosità da bisticcio inglese, dove l'offesa maggiore tra i litiganti è "non sono d'accordo".

     

    Sul Telegraph, il giornalista Jonathan Wells risponde a Peston ricordandogli che, al netto degli impeti ribellistici, dell'abolizione dell'interdipendenza di forma e sostanza, della liberazione dalle strettoie dei canoni per far fuoriuscire personalità, creatività e talento (spesso carnefici di quella cosaccia borghese chiamata buongusto) e al netto del luddismo contro la sartoria tradizionale, la cravatta va difesa perché marca la distinzione tra tempo del lavoro e tempo della vita. Distinzione che le coscienze europee sindacalizzate ritengono di dover trovare confermata, rispettata, persino legiferata nell'intoccabilità delle 35 ore e in orari di esercizi commerciali che seguano il sorgere e il tramontare del sole, quando, invece sta nella cravatta e, più in generale, nelle divise e in tutti quegli accessori che servono a riconoscere il tempo sulla base non delle percezione del suo trascorrere, ma sulla base del suo fine.

     

    Indossare la cravatta, sentirne il disagio, il nodo alla gola, il caldo (pare alzi di 2,5 gradi la temperatura corporea: dal 2007, per risparmiare sull’energia della climatizzazione nei posti di lavoro, l’Enel consiglia di consentire l’abbigliamento casual) significa potersi godere, una volta tornati a casa dall’ufficio, la confortevolezza del non averla e identificare questa col fatto di essere a casa propria, nel tempo rimasto per sé stessi. Il casual può servire a farci stare più comodi, certo, ma pure ad amalgamare lavoro e vita, rendendoli una cosa sola, facendo di noi, così, lavoratori esistenziali e non più esseri umani che (tra le altre cose) lavorano. Non è un caso che Ikea, Google, Amazon ed Apple abbiano bandito la cravatta dai loro uffici, spesso muniti di sale gioco, mense gourmet, maxi schermi e lussi che ci si comincia a concedere al lavoro e non più a casa.

     

    [**Video_box_2**]"Come ci riesci?", domanda Richard Gere.  "Mi sono scopata la squadra olimpionica", risponde Julia Roberts. Il film è Pretty Woman (1990) e la scena è quella di lei che annoda la cravatta a lui, totalmente incapace di farlo. Cantava Paolo Conte in "Per ogni cinquantennio" (1975): "Ci sono certi nodi di cravatta che dietro c'è la mano di una moglie, ma dietro ad ogni moglie c'è un'amante senza mutande". Del resto, se in ufficio si trascorre la maggior parte del proprio tempo e se quel tempo è anche alleggerito, divertente, liquido, è evidente che pure la moglie e l’amante diventano non solo difficili da trovare, ma persino trascurabili, noccioline, convenzioni da strapparsi di dosso, ribellandosi, sì, ma per omologarsi meglio.