Via il telefono

Annalena Benini
Quando sono i ragazzini a dire ai genitori: papà, smettila di googlare, voglio parlare con te

Papà, dice il ragazzino, smettila di googlare, voglio parlare con te. E’ questo il momento in cui un genitore ha due strade davanti a sé, entrambe cariche di conseguenze. La prima strada comporta vergogna, senso di colpa, percezione di una famiglia disfunzionale in cui tutti fissano i loro schermi, angoscia per il cattivo esempio e spegnimento immediato del telefono (anche chiuderlo in un cassetto o portarlo in un’altra stanza ha un alto valore simbolico, scrive il New York Times). La seconda strada comporta vergogna, senso di colpa e tutto il resto dei tormenti, ma la decisione ultima è diversa: non cedere di un passo.

 

Sto lavorando, dice il padre senza staccare gli occhi dallo smartphone. Sto leggendo un documento importante, sto rispondendo a una mail di lavoro, sto controllando a che ora hai nuoto domani, sto googlando per capire se queste macchie che hai sulla pancia sono i primi segni della scarlattina, sto studiando la ricetta della torta di mele che ti piace tanto. Succede a tavola, al parco, a calcio, al cinema durante “Inside Out” (sono scappata dal lavoro per portarvi qui, tesoro, devo essere reperibile), succede anche mentre i nostri figli ci raccontano che cosa è successo oggi a scuola, e descrivono la ragazzina con i capelli rossi di cui si sono innamorati. Ma noi, che fino a un istante prima eravamo occupati a stabilire quante mezz’ore di televisione al giorno, quanti minuti premio di giochi elettronici e quanti di iPad potevamo concedere senza creare danni e dipendenze, siamo adesso gli imputati telefonici numero uno, e cerchiamo di negare, nasconderci dietro una necessità vitale, almeno diversa da Instagram. Un’urgenza culturale, un libro digitale, un certificato telematico.

 

[**Video_box_2**]L’effetto però è identico: un adulto con gli occhi fissi su un minuscolo schermo, sia che giochi a Candy Crash sia che legga “I miserabili” sul Kindle dell’iPhone. Non fa differenza. I bambini scuotono la testa, dicono: mamma non risponde, sta col suo telefono, mamma si fa i selfie e mette i filtri per sembrare più giovane, mamma non ha tempo, sta controllando Twitter. La distanza è annullata, non esistono più le cose importanti degli adulti, se le cose importanti degli adulti si fanno ovunque e con quel coso in mano, anche sdraiati sul divano, anche davanti agli spaghetti al pomodoro, anche mentre il dentista spiega le regole dell’apparecchio per i denti. Così la bambina chiede alla nonna: nonnina cara, anche tu stavi sempre al telefono quando la mamma era piccola? E la nonna, trionfante, può rispondere: mai! E lanciare un’occhiata colpevolizzante al popolo delle app. La nipote, estasiata, dirà: mamma, beata te. La guerra è dichiarata, e anche già persa. Ma la madre stava guardando il telefono e non se ne è accorta.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.