Oriana Fallaci

I pensieri del Lambrusco

Oriana e lo champagne

Camillo Langone
Crudeltà di abbinare Fallaci e Annunziata. Eredi che non ci sono. Palate senza rabbia né orgoglio. Lucia Annunziata è stata coinvolta in quanto immigrazionista ossia stroncatura vivente del testo che finge di promuovere. Evidentemente la Rizzoli odia, o teme, oppure odia e teme al contempo, la sua bestsellerista.

E’ un’altra palata di terra su Oriana Fallaci, “Le radici dell’odio. La mia verità sull’Islam” appena pubblicato da Rizzoli. Che è appunto un libro della Fallaci (interviste e articoli apparsi tra il 1960 e il 2005 su Corriere, Europeo, Panorama, Foglio) con palata incorporata: la palata consiste nella prefazione di Lucia Annunziata. Non perché l’Annunziata vi abbia scritto chissà quali empietà e nemmeno perché alla più grande italiana dell’ultimo secolo non doveva essere allegata una giornalista di Salerno non di prima classe (l’unico giornalista di Salerno di prima classe è ovviamente Giovannino Russo).

 

Le prefazioni sono comunque offensive, qualunque sia la firma. Vengono imposte agli autori secondari che accettando di essere raccomandati da un qualche prestigioso paternalista certificano la propria secondarietà, oppure agli autori dimenticati che necessitano di essere presentati ai nuovi lettori da un nuovo scrittore. Com’è ovvio nessuno dei due casi si adatta alla Fallaci, infinitamente più grande e più contemporanea della sua prefatrice. Lucia Annunziata è stata coinvolta in quanto immigrazionista ossia stroncatura vivente del testo che finge di promuovere. Evidentemente la Rizzoli odia, o teme, oppure odia e teme al contempo, la sua bestsellerista. E’ obbligata dal mercato o dai contratti a pubblicarla ma è obbligata dall’appartenenza dei suoi capi al culturame, naturaliter collaborazionista della presente invasione, a depotenziarla. Lucia Annunziata ha firmato, assieme a Roberto Saviano e Gad Lerner, non molto meno collaborazionisti di Pierre Drieu La Rochelle ma molto meno bravi a scrivere, il manifesto della marcia pro invasori che si è tenuta alla mostra del cinema di Venezia. Quando invece la Fallaci era un’italiana sovranista e fiera che non tollerava occupazioni di sorta, nemmeno se esenti da Corano: fu disgustata dai fiorentini che applaudivano Hitler in visita così come, oltre mezzo secolo dopo, dai “cinesi padroni di Prato”.

 

Ho pensato queste cose leggendo “Le radici dell’odio” e bevendo lambrusco e ricordandomi che stavo bevendo lambrusco anche l’ultima volta che la Fallaci mi telefonò. Lei era a New York, io a Parma, mi invitò ad andarla a trovare, imbarazzato (mi dava del tu, io non riuscivo a fare altrettanto) balbettai che non prendevo aerei, che non conoscevo l’inglese, che un simile viaggio mi risultava inconcepibile. Fossi stato più presente a me stesso le avrei detto che non a caso bevevo lambrusco, l’unico vero vino autoctono italiano, derivante dalla vite selvatica presente da sempre nei boschi padani, mentre gli altri vini cosiddetti autoctoni derivano da viti giunte in Italia dal Caucaso via Grecia. Mille, duemila, tremila anni fa e perfettamente acclimatate, però nate altrove. Ho scoperto solo in seguito la sua predilezione per lo champagne, abbastanza scusabile per una donna della sua generazione: mentre oggi lo spumante francese significa soltanto esterofilia e complessi, negli anni Cinquanta in cui si sarà formata il gusto era forse una scelta senza molte alternative, siccome il lambrusco era contadino e quindi fetido e i bianchi in gran parte acetosi.

 

[**Video_box_2**]Leggendo e bevendo mi è sovvenuto inoltre il pensiero della totale mancanza di eredi. Proprio ora che di una Fallaci ci sarebbe maggior bisogno: l’undici settembre fu a migliaia di chilometri, gli sbarchi avvengono sotto casa. Non sono riusciti a raccogliere il testimone né Maria Giovanna Maglie né Magdi Allam, troppo incostanti, né Geminello Alvi né Guido Ceronetti, troppo ermetici, né Marcello Pera né Giovanni Sartori, troppo accademici, e nemmeno Ida Magli che a un certo punto mi sembrò la più indicata. Ma pure lei, come Sartori, è ormai novantenne. Contro l’invasione servirebbe una figura morale e popolare a un tempo, un personaggio capace di spendere un patrimonio di credibilità intatto e che perciò non provenga dalla politica. Susanna Tamaro? Malgrado l’effetto disinibente del vino non riesco a fare altri nomi. E intanto nelle scuole elementari di un'Italia senza rabbia né orgoglio ci sono classi senza nemmeno un bambino italiano. Quando i piccoli allogeni diventeranno grandi, berranno lambrusco?

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  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).