L'attrice Niki Karimi (foto LaPresse)

Paradisi, cantine e sgabuzzini modello Urania. Più un Baratta in vena

Mariarosa Mancuso
Un carrello di film così così e un lunch con sorrisi e numeri. Difficilmente un film israeliano delude. Vedendo "The Last Day of Rabin” si restava inchiodati alla poltrona per tutti i 153 minuti senza consultare i cellulari, una rarità.

A BIGGER SPLASH di Luca Guadagnino, con Ralph Fiennes (concorso)
Il paradiso in terra (leggi: Pantelleria) non è tale senza un serpente. Sta a bordo piscina, ributtato con gesto rapido nella macchia mediterranea. Godiamo a guardare gli attori – Dakota Johnson sopravvissuta alle “50 sfumature di grigio” – e i ricchi e famosi, così rari ai festival. Tilda Swinton fa la rockstar, un incanto vestito Dior. Assente (ingiustificata): la trama. Presente (senza motivo, se non un fervorino sui migranti per ammazzare il finale): Corrado Guzzanti.  

 

NON ESSERE CATTIVO di Claudio Caligari, con Luca Marinelli (fuori concorso)
Ostia anni 90, il sottoproletariato, lo spaccio, il tugurio dove abitare, la voglia di cambiare vita e la vecchia vita che risucchia. Film postumo del regista di “Amore tossico” – finito da Valerio Mastandrea – punta su due bravi giovani attori, Luca Marinelli e Alessandro Borghi. Aiutano a reggere la piccina morta di Aids e l’orsacchiotto sulla tomba. Non ci libereremo di Pasolini, ma sono meglio del gobbetto Elio Germano che massacra “La ginestra” di Leopardi.

 

EL CLAN di Pablo Trapero, con Guillermo Francella (concorso)
La mamma cucina pollo arrosto e patate, una porzione scende in cantina per nutrire il rapito. Per il resto, è una famiglia unita e timorosa di Dio. Papà aiuta i figli a fare i compiti e ha cresciuto un bravo giocatore di rugby (complice nel rapimento di amici e compagni di squadra). Trapero racconta la storia vera di Arquimedes Puccio, rapitore a San Isidro. L’ultima vittima fu liberata dalla polizia nel 1985. Campione d’incassi in Argentina, il thriller suggerisce connivenze politiche.

 

PECORE IN ERBA di Alberto Caviglia, con Davide Giordano (Orizzonti)
Satira. La vera, non il modello italiano che vive di imitazioni. Vita e imprese del trasteverino Leonardo Zuliani, antisemita convinto (quando scopre che Gesù è ebreo si riempie di pustole) e raccontato come un combattente per la libertà. Diventa ricco con le magliette “Io li odio i sionisti dell’Illinois” e fornisce pratici kit per bruciare la bandiera israeliana, mentre il cinema italiano fa grandi incassi con “Natale a Birkenau”.

 

EQUALS di Drake Doremus, con Kristen Stewart (concorso)
Cinquant’anni fa, sarebbe stato un raccontino di dieci pagine in fondo a un Urania. Detto con rispetto, allora dirigevano la collana Fruttero & Lucentini. Una società dove tutti son biancovestiti e reprimono le emozioni – con due braccati perché fanno l’amore nello sgabuzzino - nel 2015 provoca solo sbadigli.

 

Mariarosa Mancuso

 


 

Difficilmente un film israeliano delude. Eravamo talmente presi da “The Last Day of Rabin” di Amos Gitai che, quando s’è dovuto rivederne 15 minuti perché mancavano i sottotitloli inglesi, per la cagnetta era solo una goduria rinnovata. In Sala Grande si restava inchiodati alla poltrona per tutti i 153 minuti senza consultare i cellulari, una rarità. Anticipato di un giorno il tradizionale lunch offerto dalla dirigenza ai giornalisti per fare il punto della Mostra so far. Accanto al Presidente Baratta si siede Natalia Aspesi, occhialoni neri, abiti scuri come l’apparente umore, capelli grigi silverblu (pare sia di moda il pelo nature). Tra gli altri al pranzo, Malcom Pagani, Antonella Nesi, Arianna Finos, Gloria Satta, Federico Pontiggia. Mai visto l’un tempo gelidino Baratta tanto in vena: si vede che le cose gli vanno benone (era a capo della Commissione che ha nominato i nuovi direttori di musei italiani) a giudicare dall’insolita effervescenza. Chiesto conto dell’arcinota malmostosità degli abitanti del Lido ai festivalieri, sorride, “anche più che altrove qui la popolazione invecchia, e tiene al proprio quieto vivere”. Cita con autoironia le lodi alla sua creatura preferita, la Biennale college, niente meno che dal Dallas Morning News: “It shows the way forward for cinema”. Ha dato i numeri – biglietti venduti, Sala web, soldi, sponsor e migliorie, sempre tutto meglio o quasi. E’ il primo anno che scodinzoliamo invece di mordergli le garitte, sport preferito dei cronisti. Barbera dice che la più bella sorpresa è stata l’insperata buona accoglienza dei film della Mostra da parte dei critici. L’Aspesi chiede conto del fatto che, secondo un pensiero parecchio logoro, “non ci sono più capolavori, solo film belli.” Urlo lanciato dalla panchina con titoli che la smentiscono: “Birdman”, “Gravity”, “Hurt Locker”, tutti presentati al Lido e orbi di Leoni, ma ricchi di tanti meritati Oscar – per non parlare del mitico “Locke”. Pare che B&B saranno riconfermati per un altro anno, secondo nuova direttiva del Consiglio della Biennale. Per riparare ai tanti pizzicotti passati, giuriamo che “la serena vivibilità” auspicata all’inizio da Baratta pare realizzata. “Cross my heart & hope to die, stick a needle in my eye”, dicono i piccoli Yankee per giurare sincerità.

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