Donald Trump (foto LaPresse)

La paura di sparire e l'incapacità di essere eleganti se messi alle strette da una donna

Stefano Sgambati
Quando ho letto di Donald Trump, di questo imprenditore, magnate americano, oggi candidato repubblicano, con un patrimonio stimato di circa dieci inspiegabili miliardi di dollari, dire di una giornalista che lo aveva pungolato che si poteva vedere che le usciva sangue dagli occhi, anzi che le usciva sangue ovunque, ho anzitutto fatto a mia volta un pensiero meschino.

“La più antica e potente emozione è la paura, e la paura più antica e potente è la paura dell’ignoto”.

 

Quando ho letto di Donald Trump, di questo imprenditore, magnate americano, oggi candidato repubblicano, con un patrimonio stimato di circa dieci inspiegabili miliardi di dollari, dire di una giornalista che lo aveva pungolato che si poteva vedere che le usciva sangue dagli occhi, anzi che le usciva sangue ovunque, per poi ritrattare rivelando via Twitter che si riferiva al “naso”, “al sangue dal naso”, ho anzitutto fatto a mia volta un pensiero meschino, e cioè che è sempre una bella notizia quando un tizio con un riporto tanto ridicolo incappa in una simile figura di merda, perché se lo merita; poi mi sono ricordato della prima volta che visitai New York e ho pensato alla paura.

 

E’ stato così che e mi è venuta in mente la frase con cui ho iniziato, che è di di H. P. Lovecraft.

 

New York.

 

Successe una decina d’anni fa quando, giunto più o meno a metà del mio soggiorno in loco, fui condotto in un modo misterioso ma fisiologico, simile all’attrazione gravitazionale, fino alla Trump Tower, un colosso di cemento armato rivestito di marmo rosa con venature bianche, oro, ottone, con un lucernario nell’atrio caratterizzato da una cascata di cinquanta metri, una piscina e, giacché era periodo, da un albero di Natale mostruoso. Non so che cosa accadde, giuro che ero mosso da impulsi turistici di livello molto alto, direi perfino ambiziosi, (ero giovane in un modo selvaggio), eppure rimasi in quell’edificio sconvolgente a lungo, trascorrendovi più tempo di quanto non avessi speso al MoMA per esempio, e mi risolsi a guardare tutto, con una gamma di sentimenti che dal disgusto giunse presto alla comprensione.

 

Ogni cosa lì dentro aveva a che fare con la paura.

 

La paura di sparire, la paura della propria contingenza, soprattutto: mi colse la sensazione che quel grattacielo visionario che recava l’antroponimo del suo costruttore e proprietario fosse in effetti una piramide, un mausoleo nel bel mezzo di Manhattan, o una capsula del tempo, ma anche un gigantesco e vanaglorioso “io sono io e voi non siete un cazzo” post monicelliano che purtroppo per il suo artefice, e proprio come il Marchese del Grillo, non riusciva in alcun modo a sortire altro effetto che le risate, il ludibrio, anziché l’esatto contrario, l’autorevolezza o la stima.

 

Da allora Donald Trump è entrato e uscito dalla mia vita a seconda delle boutade, ogni volta più grottesche – dalla difesa di Amanda Knox, con l’imbarazzante “j’accuse” alla magistratura italiana, fino al tentativo di delegittimazione di Barack Obama, reo di non aver mai mostrato il proprio certificato di nascita – e da allora il sentimento che la sua esistenza mi suscita concerne soprattutto la tenerezza e la compassione.

 

[**Video_box_2**]Anche oggi mi risulta impossibile scorgere il tetro orizzonte sessista nella scia delle sue recenti parole: non solo perché nessuno di noi uomini messo alle corde da una donna quasi mai sa essere migliore o genericamente elegante – nei suoi appunti per “Otto e mezzo”, Federico Fellini specificò che nel ruolo dell’amante ci doveva essere “una bella culona” – ma anche perché la volontà di offendere riguarda comunque l’intelligenza, è cioè un atto consapevole, seppure di cattiveria, e di tale istanza Donald Trump è privo. Si tratta solo di questo: che la giornalista aveva ragione a incalzarlo con le sue domande, e che ciò stava spostando di un altro newton metro Donald Trump verso la distruzione e la ridicolizzazione. Qualsiasi gesto di quest’uomo, per la precisione, mi sembra abbia a che fare col tentativo disperato di procrastinare l’eco della propria esistenza: ma come un grosso sistema digestivo che per quanto si impegni riesce a manifestare se stesso solo attraverso dei fastidiosi borborigmi gastrici, così lui, pur con tutti gli sforzi, altro non può fare che tramandare la propria sciocchezza. D’altra parte deve essere dura accettare che dieci miliardi di dollari e due enormi grattacieli a New York non riescano a disinnescare il sospetto che il complesso meccanismo della Storia non lo risparmierà, che di lui non resterà niente, a lungo andare, e a uno che ha paura di questo, a uno che ha soltanto paura e alla paura non ha grossi strumenti logici, dialogici o intellettuali da opporre, a uno per cui “ignoto” è tutto, tranne i suoi possedimenti terreni o la taglia di reggiseno delle sue giovanissime amanti, non resta altro da fare che proteggersi con l’istinto e credo che l’istinto di uno come Donald Trump gli suggerisca, da sempre, che essere ricordato come un Perfetto Cretino sarà se non altro meglio di niente.

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