Parolaio estivo

Andrea Ballarini
Estate, che palle, è tempo di migrare, dice il poeta. Poi, invece, tra una stretta creditizia e una crisi che non si capisce bene se sia finita o no, si resta inchiodati in città. I più fortunati stravaccati sotto i condizionatori, gli altri un po’ al supermercato (dove si entra ma non si deve più uscire, pena pleurite fulminante) e un po’ nei vari parchi.

Estate, che palle, è tempo di migrare, dice il poeta. Poi, invece, tra una stretta creditizia e una crisi che non si capisce bene se sia finita o no, si resta inchiodati in città. I più fortunati stravaccati sotto i condizionatori, gli altri un po’ al supermercato (dove si entra ma non si deve più uscire, pena pleurite fulminante) e un po’ nei vari parchi. E mentre la temperatura atmosferica sale, e la pressione arteriosa scende, bisogna pur parlare di qualcosa.

 

L’anno scorso ce l’eravamo cavata con la deriva meteo-mitologica delle ondate di calore dai nomi sempre più terribili: Circe, Caronte, Minosse, replicata quest’anno in tono decisamente minore; si sa, le minestre riscaldate eccetera. Stavolta, però le invenzioni più stimolanti vengono dalla politica, dove si segnalano alcune uscite dada assai gustose. Nel giro di poche ore il governo ha tirato fuori il piano Marshall per il sud e l’ala riottosa del Pd ha rispolverato il Vietnam, a significare la sua determinazione a resistere alle riforme renziane.

 

E’ chiaro che queste ardite metafore qualche pensiero un po’ spettinato lo suscitano. Se si è nati negli anni Sessanta (e qualcuno al governo o nel Pd lo nacque, per citare il Principe) il piano Marshall lo si è mancato di un decennio buono e al massimo se ne sono goduti i benefici effetti, approfittando del fugace entusiasmo riproduttivo in quei quattro o cinque anni tra fine Cinquanta e inizio Sessanta.

 

Erano anni facili. Ingenui, superficiali, d’accordo, ma tanto più rilassati. Tanto per dirne qualcuna, non c’era il politically correct (l’inglese non lo parlava nessuno), si fumava a quattro palmenti e le verdure erano naturalmente biologiche, o perlomeno così ci pareva. Nell’ora di Storia, col piano Marshall ce la si cavava al massimo in un quarto d’ora, forse perché i programmi ministeriali non avevano tanta voglia di stare a cavillare su chi ha dato cosa a chi: la vulgata era che per quattro anni, dal ’47 al ’51, gli americani ci hanno svalangato addosso una montagna di dollari e De Gasperi ha rimesso in piedi il paese. Non si andava più in là di così. Gli americani erano i buoni. Come John Wayne e i cowboy. Punto. Magari i genitori avevano anche la tessera del Pci, ma chissenefrega, erano buoni per definizione.

 

Stacco. Passa qualche anno, e gli americani occupano il Vietnam. Smettono di essere buoni e cominciano a fare arrosto le bambine col napalm. Chi aveva dei fratelli più grandi se li ricorda uscire di casa con dei tascapani militari per andare a manifestare contro la guerra (vabbe’, la sinistra ha sempre dovuto fare i conti con le sue contraddizioni, ma come abbiamo imparato poi, queste sono una ricchezza) esibendo cartelli fatti con i pennarelli che invitavano gli yanki (però l’inglese prima o poi avrebbero dovuto decidersi a studiarlo!) ad andarsene a casa. Perfino John Wayne era diventato uno stronzo in “Berretti verdi”. A sette, otto anni scoprire di avere voluto bene per anni a uno stronzo è una cosa che turba; sono cose che ti restano dentro e ti si insinuano nell’anima. E nel ’75, finalmente, se ne tornano in America.

 

Poi cresci, entri in politica, e quarant’anni dopo, in un’estate che fa un po’ più caldo del solito, mentre sei lì che rilasci una dichiarazione alla stampa, trac, un rigurgito dell’inconscio di un “Soldato Blu” o, per i più giovani, di un “Full Metal Jacket”, e ti senti pronunciare un’insulsaggine che non sei neanche sicuro di essere stato tu a dire. Eh, ma ormai l’hai detta e cosa fai, te la rimangi? C’è un racconto di Woody Allen che illustra bene questa dinamica psicologica: è la storia di un tipo che una sera va alla Scala, si sporge dalla galleria e cade di sotto, ma essendo troppo orgoglioso per ammettere l’errore ci torna tutte le sere e ogni volta si ributta di sotto. Dopo una settimana un amico gli dice che ha capito e che può smettere e lui gli risponde: “No, ma in fondo non è così male”. Ecco, chiaramente è andata così.

 

[**Video_box_2**]E comunque una tentazione americana nella sinistra ce l’hanno già avuta ai tempi di I care; non gli è andata benissimo neanche allora, ma si sa che le esperienze dell’infanzia sono quelle che formano il carattere. Peraltro, se consideriamo che uno dei primi contatti con l’America nell’immaginario di molti è stato il poliziotto del Kansas City che “così magna l’americani, roba sana, genuina, mammelatta, ammazza che zozzeria”, tout se tient. Però l’estate è lunga e anche in agosto bisogna pur dichiarare qualcosa, così ecco qui alcuni eventi della storia americana da accoppiare a caso all’attualità politica: la battaglia di Alamo; il massacro del Sand Creek; l’assassinio di Abramo Lincoln, la strage di San Valentino; gli omicidi di John e Robert Kennedy, quello di Martin Luther King, Pearl Harbour, Hiroshima, Nagasaki, la strage di Bel Air, le Torri, il lancio di Windows 10. Caso mai ce ne fosse bisogno.